Teletrasporto

Star Trek, entanglement, e strani dadi gemellati: un estratto da La danza dei fotoni

Teletrasporto

 

«Si racconta che un giorno gli autori di Star Trek siano venuti a conoscenza del principio di indeterminazione di Heisenberg e dei limiti che poneva al teletrasporto; probabilmente uno dei loro fan all’interno della comunità scientifica li aveva messi in guardia. Tutti gli appassionati del telefilm sanno benissimo come fu risolto il problema: gli autori inventarono il “compensatore di Heisenberg”, un attrezzo immaginario che risolveva i problemi dovuti al principio di indeterminazione. Tuttavia, poiché l’esistenza di uno strumento del genere era, ed è, assolutamente impossibile, nessuno si preoccupò di spiegarne il funzionamento. La leggenda vuole che un giorno un giornalista di “Time” abbia chiesto a Michael Okuda, un consulente tecnico della serie: «E come funziona il compensatore di Heisenberg?». Al che lui rispose: «Molto bene, grazie!». In conclusione, abbiamo imparato che la meccanica quantistica pone fine al sogno del teletrasporto; ma non dovete abbandonare le speranze: dopo tutto avete ancora un intero libro sul teletrasporto quantistico di fronte a voi, quindi un modo ci deve essere per aggirare queste restrizioni.

La soluzione non è di certo nuova, anche se a modo suo è sorprendente. In medicina si sa da un sacco di tempo (o, almeno, dal Medioevo, epoca in cui visse il dottor Paracelso) che qualcosa di cattivo e dannoso per la salute, se usato in maniera diversa, può diventare l’antidoto contro se stesso. Trasposto nella nostra situazione, significa che possiamo chiamare in soccorso proprio la meccanica quantistica. Per capire come, diamo uno sguardo da vicino a che cosa ci dice il principio di indeterminazione di Heisenberg: quest’ultimo ci insegna che, attraverso una misura, non è possibile determinare tutta l’informazione necessaria per caratterizzare un sistema individuale. Ma nel teletrasporto ne abbiamo davvero bisogno? Per riuscire a teletrasportare un sistema, dobbiamo davvero conoscere tutta l’informazione che lo caratterizza? Per rispondere a questa domanda, dobbiamo prima fare un passo indietro e chiederci che cosa vogliamo davvero ottenere in un esperimento di teletrasporto. Per la buona riuscita del nostro esperimento non è necessario determinare tutta l’informazione contenuta in un sistema, ma, per dirla in maniera più dettagliata, sarebbe sufficiente trasmetterla alla stazione ricevente. Poiché non è necessario conoscerla, allora non è nemmeno necessario misurarla: poterla trasferire sarebbe sufficiente, e una procedura del genere non sarebbe vincolata in alcun modo dall’indeterminazione quantistica di Heisenberg. Ciò di cui abbiamo bisogno è un canale per la trasmissione di tale informazione, una sorta di tunnel attraverso il quale possa essere inviata direttamente da un punto A a un punto B senza che sia necessario prima misurarla. Anzi, a dire il vero, la misura non dovrebbe proprio entrare a far parte del processo. In maniera più precisa, la misura dell’informazione contenuta nel sistema non deve far parte della sequenza di teletrasporto, poiché introdurrebbe nel processo tutte le limitazioni imposte dal principio di indeterminazione di Heisenberg. A breve, vedremo che trasferire l’informazione da un punto A a un punto B senza compiere alcuna misura è effettivamente possibile; per ora, al lettore basti sapere che è proprio la meccanica quantistica, e in particolare quel fenomeno di entanglement che Einstein definiva misterioso, che ci permette di trasferire l’informazione di cui abbiamo bisogno. Il teletrasporto quantistico è possibile grazie all’entanglement quantistico. La soluzione quantomeccanica è stata proposta nel 1993 da una collaborazione internazionale formata da sei fisici teorici: Charles Bennett, dell’IBM, Gilles Brassard, Claude Crépeau e Richard Jozsa, dell’università di Montreal, Asher Peres, del Technion (l’istituto israeliano per la tecnologia, a Haifa), e William K. Wootters, del Williams College. Le affiliazioni degli scienziati sono un indice interessante del carattere internazionale di questa collaborazione. Pur esistendo già in precedenza, le collaborazioni internazionali si sono giovate tantissimo dell’avvento di internet. Mentre un tempo ogni ricercatore doveva sostanzialmente scrivere una serie di lettere e aspettare un po’ prima che arrivasse una risposta dai suoi collaboratori, oggi internet permette a persone che lavorano in luoghi lontani di collaborare con facilità, discutere le loro idee, fornire suggerimenti e scrivere insieme un articolo scientifico in un tempo molto più breve di quanto non fosse possibile in passato. L’articolo della collaborazione Bennett, Brassard, Crépeau, Jozsa, Peres e Wootters era intitolato Teleporting an Unknown Quantum State via Dual Classical and Einstein-Podolsky-Rosen Channels (Teletrasporto di uno stato quantistico ignoto attraverso un doppio canale, classico e di Einstein-Podolsky-Rosen). A quel tempo era insolito che un articolo di fisica contenesse nel titolo la parola teleporting, ossia teletrasporto, poiché era per lo più considerato un argomento da fantascienza, scientificamente poco solido. Ma evidentemente non c’era parola migliore per descrivere l’interessante scoperta teorica che quel team aveva appena fatto: il nome calzava davvero a pennello. Gli autori suggerirono che per realizzare il teletrasporto fosse necessario utilizzare «un duplice canale, classico e quantistico». In altre parole, abbiamo bisogno di un canale classico per comunicare e di uno quantistico per il teletrasporto: il canale quantistico, evidentemente, è quello che fa il grosso del lavoro. Spieghiamo prima in che cosa consiste un canale classico. Qualunque sia l’informazione trasmessa da Alice a Bob – chiamiamo così le due posizioni A e B – c’è bisogno di un canale che li connetta. Per esempio, una linea telefonica è un canale classico semplice: in questo caso, l’informazione viaggia sul canale in due sensi, da Alice a Bob e da Bob ad Alice. Nei telefoni moderni l’informazione è trasmessa in formato digitale, è cioè una sequenza di bit, ognuno dei quali può valere 0 o 1. A livello del mittente (Alice) le parole del messaggio sono convertite in un flusso continuo di sequenze di bit che sono poi inviate verso il destinatario (Bob), dove, a sua volta, il flusso di bit è riconvertito in una sequenza di suoni. L’aspetto più importante della nostra discussione è rappresentato da una caratteristica piuttosto ovvia del canale classico: l’informazione è immessa in un’estremità del canale ed esce dall’altra. Ciò significa che deve esistere dall’inizio del processo ed essere ben definita, altrimenti si origina del rumore nella conversazione. Inoltre, l’informazione viaggia da parte a parte, e quindi è possibile seguirne il percorso all’interno del canale. Il canale classico non serve per il teletrasporto vero e proprio, poiché per poterla trasmettere in questo modo da Alice a Bob sarebbe prima necessario identificare o estrarre tutta l’informazione contenuta in un sistema e, come abbiamo visto nei capitoli precedenti, ciò non è possibile. Il canale quantistico funziona in maniera completamente diversa, sfruttando, come abbiamo già detto, una proprietà peculiare della meccanica quantistica: l’entanglement. Nel 1935 Einstein, insieme a due giovani colleghi, Boris Podolsky e Nathan Rosen, ipotizzò che grazie alla meccanica quantistica due particelle, due sistemi potessero essere correlati in maniera molto stretta. Questa connessione, l’entanglement quantistico, è molto più forte di qualunque altra connessione tra la materia di due sistemi classici, o tra due oggetti che maneggiamo quotidianamente. Per studiare e capire che cosa sia l’entanglement, possiamo cominciare da un breve racconto di fantascienza. Ci troviamo in un lontano futuro, da qualche parte intorno all’anno 2100. Per il tuo compleanno, un amico ti ha regalato un gadget di ultima generazione. Ti porge un piccolo aggeggio azzurro splendente; noti che ha un pulsante sul lato superiore e una targa che riporta la scritta «Generatore di entanglement quantistico». In base alle istruzioni, premendo il pulsante, dall’apparecchio dovrebbe saltare fuori una coppia di dadi. E quindi premi il pulsante: senti i due dadi cadere, ognuno in un piccolo contenitore a forma di coppetta. Quando li prendi, noti che i due contenitori sono chiusi con il coperchio, e non puoi vederne il contenuto. Il tuo amico ti spiega che i dadi sono coperti così che tu non possa interferire con il loro stato quantistico, poi ti incoraggia a guardare dentro le due coppette: apri la prima, e vedi che è uscito un 3. Poi apri la seconda: di nuovo 3. «Che combinazione!» esclama il tuo amico. «Su entrambi i dadi è uscito lo stesso numero». Ma la cosa non ti impressiona particolarmente, sai che questo tipo di eventi non è poi così raro: «Se tiri un dado e, per esempio, esce tre, allora, quando tiri l’altro, può uscire tre in un caso su sei, ossia c’è una probabilità di un sesto che ciò accada». «Giusto» replica il tuo amico. «Rimetti i dadi nella macchina». Sistemi i dadi e le coppette al loro posto, e premi di nuovo il pulsante. Aprendo il primo contenitore, trovi un 5, e anche l’altro dado ti mostra la stessa faccia. A questo punto, la macchinetta ha completamente catalizzato la tua attenzione. Premi di nuovo il bottone: 1 e 1. Lo ripremi: 6 e 6, e così via. Al ventesimo lancio ti arrendi: i due dadi mostrano sempre la stessa faccia. Che siano dadi truccati? Allora, dopo che nell’ultimo lancio erano usciti 4 e 4, li raccogli e decidi di lanciare il primo a mano. Esce un 3. Poi lanci l’altro ed esce un 1. Continui a lanciare a mano per un po’, e questa volta ognuno dei due dadi mostra in modo indipendente dall’altro la sequenza di numeri casuali che uno si aspetterebbe. Insomma, sicuramente i due dadi non sono truccati. Il tuo amico ti ha osservato in silenzio per tutto il tempo, con un sorriso che è diventato via via più grande: «Vedi, quello che stai osservando è l’entanglement quantistico in azione. I due dadi non sono truccati, a ogni lancio ognuno ti mostra una faccia a caso. Ma, se li rimetti entrambi nella macchina, allora questa correla quantisticamente e, ogni volta che escono da quest’aggeggio, ti mostrano sempre la stessa faccia». La spiegazione ha richiamato l’attenzione dei tuoi figli. «Vediamo che succede se porto uno dei due contenitori in cucina!» e tua figlia scappa via. Quando torna, ti dice che ha ottenuto un 3, e tu apri l’altra coppetta: 3 anche per te. I tuoi figli iniziano a correre dentro e fuori casa; non importa quanto vadano lontano: anche se prima di guardarci dentro portano il contenitore in giardino, il loro dado mostra sempre la stessa faccia del tuo. Dopo un po’ i bambini sono esausti; decidete che per il momento può bastare e che è ora di riposarsi un po’. «Adesso capisci perché Einstein definiva l’entanglement “misterioso”, e perché avrebbe preferito che la fisica funzionasse in maniera diversa. Sarebbe davvero sorpreso di sapere che i nostri computer quantistici lo usano in continuazione». Ovviamente i dadi quantistici entangled non esistono ancora. Nonostante ciò, l’entanglement e i bizzarri comportamenti che ne derivano sono stati osservati sperimentalmente in coppie di particelle, come fotoni, elettroni, protoni, atomi o addirittura in piccole nubi di atomi. Quando parliamo di coppie di particelle entangled, dobbiamo innanzitutto chiederci in quali proprietà siano correlate quantisticamente; infatti, è possibile gemellare quantisticamente diverse caratteristiche delle particelle elementari. Per esempio, il modo più semplice per avere due fotoni entangled è di correlarne la polarizzazione (impareremo meglio in seguito che cosa sia, per ora vi basti sapere che indica la direzione lungo la quale oscilla la luce). Se la polarizzazione di una coppia di fotoni è entangled, allora questo significa che, prima di un’eventuale osservazione, nessuno dei due è polarizzato lungo una direzione prefissata, proprio come nel racconto appena letto, dove il dado, prima di venire osservato, non mostrava alcun numero. Tuttavia, nell’istante in cui osserviamo uno dei fotoni, la sua polarizzazione assume, in maniera completamente casuale, un valore ben definito, per esempio orizzontale o verticale: in altre parole il suo campo elettrico oscilla orizzontalmente o verticalmente. A quel punto, se i due fotoni sono gemellati quantisticamente, osservando l’altro, noteremo che è polarizzato nello stesso modo. Quindi la regola generale è che una certa proprietà di una delle due particelle entangled deve essere in correlazione con una proprietà corrispondente dell’altra particella. E le possibilità sono molteplici. Per esempio, un’altra grandezza che possiamo correlare quantisticamente è l’energia: immaginiamo una situazione in cui la somma delle energie di due particelle è costante, ma nessuna di esse ha un’energia ben definita prima che questa venga misurata. Quando misuriamo l’energia di una delle due, essa assumerà un valore definito ma casuale, e l’altra, a prescindere da quanto sia lontana, assumerà il valore necessario a far sì che la somma delle due energie sia costante. Quelli appena esposti sono solo due possibili esempi di entanglement, due situazioni che ci aiutano a comprendere l’idea alla base di questo fenomeno».

 

(Anton Zeilinger, La danza dei fotoni. Da Einstein al teletrasporto quantistico)

 

Qui un interessante articolo di Nature su Anton Zeilinger: Quantum teleportation over 143 kilometres using active feed-forward

 

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