«Con un padre “fan devoto di jazz” e una madre amante della narrativa, a Will Hermes l’idea di “unire queste due influenze e mettere in parole le emozioni che provavo ascoltando musica” è venuta presto e i suoi studi al college si sono orientati su letteratura e giornalismo. Dopo, la gavetta nei settimanali locali: “qui negli USA li chiamiamo alternative newspapers, il più famoso è il Village Voice; sono pubblicazioni in cui si tende a trattare la politica in modo piuttosto polarizzato, in genere guardando da sinistra, e lo stile di scrittura tende a essere meno oggettivo dal punto di vista giornalistico e più letterario nello stile”.
Quando si trova a scegliere tra un PhD con annessa carriera da insegnante e un lavoro full-time e ben pagato come caporedattore di un giornale locale a Minneapolis, non ha dubbi: “Amavo i miei studenti, ma quello che voglio veramente fare è scrivere. Presto mi sono ritrovato a guadagnare da vivere scrivendo di musica e di film, e non avrei potuto essere più felice”. Poi l’approdo a Rolling Stone, di cui resta ancora oggi una delle firme di rilievo».
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All’inizio degli anni Settanta New York era una città allo sbando: criminalità, disagio sociale, sporcizia e bancarotta economica la rendevano un posto molto diverso dalla metropoli scintillante che conosciamo oggi.
Eppure proprio in quegli anni una straordinaria esplosione creativa ne fece il laboratorio ideale in cui vennero ridefiniti e inventati tutti i generi musicali che avrebbero influenzato i decenni successivi: la scena jazz, il punk dei Ramones, la salsa dei latinos del Bronx, i New York Dolls, Springsteen e Patti Smith, la nascita della disco e della dj culture, il rap di Afrika Bambaataa, il minimalismo di Philip Glass.
Sullo sfondo una città sull’orlo del baratro, pericolosa ed elettrizzante, ruvida e pulsante, in cui le storie delle future stelle della musica si intrecciavano con quelle di personaggi equivoci, writers e artisti di ogni tipo.
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