L’utopia di Obama è una tragedia greca – intervista a Lauren Groff

AGI.it

«Arcadia è la storia di Briciola, un bambino che cresce in una comunità di hippy negli anni Sessanta. Amore libero, natura, quieta sregolatezza sono gli ingredienti di un mondo di sogni e di utopie, quelle che hanno nutrito l’America, e poi sono crollate. La stessa America che ha visto negli ultimi anni un’altra utopia, quella di Obama, diventare, “una tragedia greca, un disastro ferroviario al rallentatore”, dice Lauren Groff, autrice di Arcadia, primo volume della collana di narrativa di Codice Edizioni, è tradotto da Tommaso Pincio. È il secondo romanzo della Groff, classe 1978, newyorchese che si vide presentare a Saratoga in Florida il primo libro (I mostri di Templeton, Einaudi) nientemeno che da Stephen King. Anche nel primo romanzo un personaggio, Vivienne, arriva dalla cultura hippy. “L’unico legame tra i due romanzi”, spiega all’AGI Groff, in Italia per presentare il libro al Salone di Torino, “è che entrambi sono ambientati nello Stato di New York. Per il resto, si tratta di mondi differenti. Più che altro, direi che sono interessata a quelli che posso definire i sovversivi silenziosi”. “Perché mi colpisce la cultura hippy? -chiede a se stessa- Ero alla ricerca di un periodo dell’età contemporanea che fosse dominato dall’idealismo e da tensioni utopistiche. L’ultima volta che ciò si è verificato, perlomeno in America, è stato tra gli ultimi anni Sessanta e i primi anni Settanta”. Ma cosa è l’utopia? E dove sono il punto e il momento in cui l’utopia viene tradita? “L’utopia esiste sono nell’immaginazione. Non sto denigrando l’idealismo, sia chiaro: i sogni sono necessari e pure bellissimi. Ma siamo esseri umani, imperfetti. E facciamo errori. E le conseguenze si vedono nell’applicazione concreta degli ideali. E il mondo stesso è in continuo mutamento. Abbiamo appetiti e desideri oscuri anche a noi stessi. Ma allo stesso tempo non possiamo realizzare progressi senza avere un’immagine mentale di come vorremmo che il mondo diventasse”.

Lauren Groff, 35 anni, ha vissuto un’altra utopia, quella immaginata nell’elezione del primo presidente nero degli Stati Uniti. Ma lì è avvenuto il tradimento. “Ho visto -dice- quanto accaduto a Obama con la fissità e l’orrore con cui si osserva una tragedia greca. Abbiamo preso un idealista intelligente, bello, gentile e lo abbiamo corroso con la politica. È stato un disastro ferroviario al rallentatore. Certo, vi è ancora gente che lavora per far andare meglio le cose ma sono sono così motivati come appena dopo l’elezione di Obama”.

I riferimenti letterari di Lauren Groff vanno, spiega lei stessa, da George Eliot a James Salter, da John Milton ad Alice Munro. “A loro torno spesso. Amo molto gli scrittori italiani”, sottolinea, “ho studiato Dante per un intero semestre in college e leggevo Calvino come un’indemoniata. La prima traduzione che feci, per me stessa, fu da un’opera di Eugenio Montale. Elena Ferrante è la mia nuova occasione di godimento letterario, compro i suoi libri non appena questi diventano disponibili in lingua inglese”. I giorni dell’abbandono (edizioni E/O) della Ferrante racconta, anche, del dolore. E lei, Lauren, ha detto una volta di aver scritto Arcadia in un momento ‘doloroso’ della sua vita. Cos’è la scrittura, un modo per guarire dalla malattia dell’utopia. “La scrittura -risponde- somiglia a una terapia, ma in diversi modi è il contrario di essa. È vero che entrambe si cerca di articolare le parti più profonde di se stessi. Ma la terapia si svolge in in una stanza chiusa di fronte a un ascoltatore dotato di empatia; è effimera e disordinata. Lo scopo della scrittura è la creazione di qualcosa di bello, che tu, il suo creatore, vorresti essere. Significa ridisegnare il tempo, inventare persone che non sei tu, rivisitare dolorosamente le frasi che pronunciano per illuminarle. La terapia è precipitare nel buio, come pietre, nella speranza che nel corso del tempo gli spigoli vengano smussati. La scrittura è ripulire e lucidare la tua oscurità in modo che le persone possano vedersi riflesse in essa”. Così, conclude Groff accennando ai suoi progetti futuri, , “ho congegnato la mia vita in modo che vi siano soprattutto amore e lavoro, perché sono questi i miei regni, dove sono felice. Scrivo, scrivo sempre un nuovo romanzo, ma queste cose richiedono tempo, e non ho idea di quando sarà finito».

Fabio Greco, AGI

 

Groff_copertinaAmerica, stato di New York, fine anni Sessanta. Un gruppo di giovani decide di fondare una comune basata suil’amicizia, la condivisione, l’amore e l’indipendenza dal denaro. La chiameranno Arcadia. Ed è qui che nasce Briciola, il primo dei molti figli che andranno a popolare un mondo bucolico e ricco solo di ideali, ben presto corrotti dalle difficoltà della convivenza. La fine della comune costringerà Briciola e il suo grande amore Helle, nati e cresciuti in un mondo popolato da sognatori, a misurarsi con il mondo reale, quello della New York degli anni Ottanta.

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