Il tempo in una bottiglia: mondo di-vino

Il Venerdì

«Tempesta sensoriale e insieme piacere evoluto, intrecciato alla cultura e alla scienza, il vino tocca e unisce mente e corpo, ed è quindi una specie di metafora dell’essere umano, suo antico compagno di viaggio. Lo dicono due nomi di spicco della scienza contemporanea, Ian Tattersall, curatore del dipartimento di antropologia dell’American Museum of Natural History di New York, e il suo collega Rob DeSalle, biologo e curatore del dipartimento di entomologia, nel saggio Il tempo in una bottiglia. Storia naturale del vino (Codice Edizioni). I due autori spiegano che un giorno, mentre scrivevano un saggio insieme bevendo del buon vino, hanno pensato che proprio il vino potesse essere un tema da approfondire, per i mille aspetti che lo legano alla chimica, alla botanica, alla fisiologia e alle altre scienze.

Quant’è antico il nostro amore per il vino?
Tattersall: Ad Areni, un posto sperduto dell’Armenia, gli archeologi hanno scoperto una vasca scavata nell’argilla, seimila anni fa, che convogliava il suo contenuto verso un recipiente. La vasca serviva a pigiare l’uva e il recipiente era una tinozza di fermentazione. È la più antica cantina di cui abbiamo traccia, ed è contigua a un sito dove si svolgevano attività simboliche e sacramentali. Forse già da allora il vino era considerato più di una bevanda: un rito sociale, un modo per trascendere sé stessi. L’estrema cura e rigore con cui fu prodotto e commerciato da babilonesi, egiziani, greci e romani ci testimonia il suo impatto unico sulle culture più diverse.

Ma cosa lo rende così speciale?
Tattersall: Un’ipotesi interessante e attendibile è l‘ipotesi della scimmia ubriaca, elaborata dal biologo Robert Dudley dell’Università della California, che la racconta in un libro uscito quest’anno: The Drunken Monkey: Why We Drink and Abuse Alcohol (La scimmia ubriaca: perché beviamo e facciamo abuso di alcol, University of California Press). L’etanolo, l’alcol che troviamo nel vino, si forma in modo naturale ovunque le piante producano zuccheri in quantità concentrate, ossia nei frutti. Il profumo dell’etanolo guidava i nostri antenati arboricoli verso i frutti migliori dell’albero, quelli più maturi e zuccherosi. La risposta “psicoattiva” all’alcol potrebbe essere stata un antico incentivo evolutivo a preferire questi frutti.
DeSalle: Non siamo gli unici mammiferi a gradire l’alcol: in certe zone dell’Africa meridionale gli elefanti mostrano una predilezione per il frutto fermentato della marula, simile a una prugna, e spesso si allontanano dall’albero barcollanti. Più resistente di loro è un piccolo mammifero che si trova in Malesia, la tupaia dalla coda piumata. Ogni notte si nutre per oltre due ore del nettare fermentato dell’infiorescenza di una pianta di cocco, con una gradazione alcolica di 3,8, ma rimane vigile e lucida. Un mammifero più vicino a noi, la scimmia urlatrice dell’America centrale, mangia invece con avidità dei frutti fermentati dalla palma Astrocaryum, incamerando senza danni una quantità d’alcol che stordirebbe due uomini.

Come mai reggiamo l’alcol meno delle scimmie?
Tattersall: Uscendo dalle foreste, i nostri antenati africani variarono la loro dieta; la frutta divenne meno importante. Mantennero una certa capacità di disintossicarsi dall’etanolo, però non gli si adattarono tanto quanto le scimmie urlatrici o la tupaia.

Ma se la predilezione per il vino è un’abitudine evolutivamente vantaggiosa, come mai questo dà gravi dipendenze e danni alla salute?

Tattersall: È colpa nostra. Quando i nostri progenitori, da nomadi e cacciatori sono diventati stanziali e agricoltori, hanno avuto il problema di conservare il cibo deperibile. Si accorsero che la fermentazione era un sistema efficace: concentrazioni anche piccole di etanolo uccidono la maggior parte dei microbi che decompongono gli alimenti. L’ipotesi è che il vino sia stato “inventato” come effetto collaterale delle fermentazioni a scopo di conserva. A quel punto, però, diventati vinificatori, abbiamo avuto a disposizione quantità di alcol prima introvabili in natura. E abbiamo iniziato a eccedere. Cosa che non succede, invece, allo scimpanzé: la frutta matura è oltre il 90 per cento della sua dieta, ma il suo stomaco si riempie prima che la concentrazione naturale di etanolo superi una certa soglia, e quindi non si ubriaca».

Intervista di Giuliano Aluffi, il Venerdì (per leggere l’intervista completa sul Venerdì, clicca QUI).

 

desalle_tattersallDi cosa è fatto il vino? Fisica, chimica, neuroscienze, antropologia e molto altro. Parlando di fronte a un bicchiere di buon vino, DeSalle e Tattersall hanno capito che il “nettare degli dèi” ha un legame con tutte le principali discipline scientifiche.
Ne è nato un libro che racconta un viaggio affascinante: dalle antichissime origini in un villaggio del Caucaso meridionale all’analisi di ciò che rende speciale un terroir, dalla spiegazione del modo in cui la degustazione coinvolge tutti i nostri sensi alle più moderne tecnologie di vinificazione, fino alle conseguenze dell’eccesso di alcol sul nostro organismo e all’impatto del cambiamento climatico sui vitigni. Il tempo in una bottiglia è un libro unico, per degustare il vino attraverso la sua storia, la sua scienza, e una molteplicità di sguardi sorprendenti.

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