Fuga dal Campo 14 – Parole in viaggio

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«Se un reportage di viaggio è un libro che racconta qualcosa di un posto sconosciuto, allora Fuga dal campo 14 (Codice Edizioni) è un reportage di viaggio. Certo, Shin Dong-hyuk, il protagonista per metà del libro sta fermo, rinchiuso nel Campo 14, un centro di detenzione dura per oppositori politici in Corea del Nord. Però attraverso i suoi occhi si scopre qualcosa che nessuno ha mai raccontato: la vita delle decine di migliaia di detenuti rinchiusi dal regime di Pyongyang nei campi di prigionia. E raccontare qualcosa che non si conosce di un luogo che non si conosce è l’essenza di un reportage di viaggio. Un reportage cui Shin ha dato sostanza, mentre le parole sono del giornalista americano Blaine Harden.

Fuga dal campo 14 racconta dei detenuti nei campi di lavoro nordcoreani. Shin è uno di loro. Solo che a differenza della maggioranza degli oltre centomila prigionieri lui nel campo c’è nato: figlio di due internati che in premio hanno avuto la possibilità di sposarsi e vedersi 5 giorni l’anno. Fino ai 23 anni Shin non ha conosciuto null’altro che il campo 14, forse il più duro di tutto il Paese. Ogni giorno per 23 anni Shin non ha conosciuto che il freddo d’inverno, la fame perenne, le umiliazioni quotidiane, le botte, il tradimento, la sfiducia, i lavori forzati. In 23 anni ha imparato a non fidarsi di nessuno, neanche di sua madre. Madre che ha odiato, per averlo messo al mondo. Madre che ha tradito, perché progettava una fuga.

Ma a un certo punto della sua esistenza Shin ha sentito l’impulso di scappare e mettersi in viaggio. Lui che non ha mai conosciuto altro che i 50 chilometri quadrati del campo 14, per cui la parola America, Corea del Sud non significava nulla, ha incontrato un altro prigioniero che gli ha raccontato del mondo là fuori. Del cibo abbondante che si poteva gustare passando il confine, in Cina. È bastato venire a conoscenza di un altrove, di una terra emersa aldilà delle colonne d’Ercole (elettrificate) del campo che Shin ha sentito l’impulso per partire. La sua fuga attraverso la Corea Nord, fino al confine cinese attraversato d’inverno corrompendo un militare 17enne affamato quanto lui con un pacco di cracker e delle sigarette, rappresentano la parte di viaggio di questo reportage. Quella in cui si scopre che dentro o fuori dal campo per la gente normale in Corea del Nord la vita è quasi la stessa: piena di privazioni, povertà, umiliazioni. Cambia solo la dimensione della gabbia, ma sembrano essere tutti prigionieri uguali».

Tino Mantarro, Touringclub.it (per continuare a leggere sul sito del Toring Club, clicca QUI).

 

Print«Quando vedo le immagini dell’Olocausto mi metto a piangere come un bambino. Sto ancora cercando di diventare, dalla bestia che ero, un uomo».

«Il libro di Harden, oltre a essere una storia avvincente narrata con il cuore, porta con sé un grosso carico d’informazioni sulle crepe più buie di una nazione».
The New York Times

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