«Cominciamo subito col dire chi è “il bagnino” e chi sono “i samurai”. Il bagnino è Carlo Sama, perché negli anni Sessanta così lo chiamavano sulle spiagge di Romagna, dove il futuro amministratore delegato di Montedison, aitante ragioniere ravennate, dava il meglio di sé conquistando così la rampolla Ferruzzi, Alessandra. Un grande manager non lo è mai diventato, il bagnino, ed è una beffa della storia che sia toccato proprio a lui liquidare la grande azienda di stato che aveva plasmato quarant’anni di storia italiana, e con ciò mettere in mani straniere, precisamente svedesi, Farmitalia-Erbamont, il gioiello della farmaceutica italiana, l’unico nucleo dal quale sarebbe potuta nascere una Big Pharma tutta nostra. I samurai, invece, sono sette giovanotti (sei e una ragazza con gli occhiali) che hanno dato vita alla moderna oncologia medica negli anni Sessanta di una Milano innamorata della scienza e non ancora “da bere”. A chiamarli così, scherzosamente ma non tanto, è stato l’uomo che li ha raccolti attorno a sé: Gianni Bonadonna, un mostro sacro della medicina dei tumori diventato tale anche in virtù di un farmaco potentissimo, sviluppato proprio da Farmitalia, e portato negli ospedali di tutto il mondo grazie alle sperimentazioni dei samurai. Due soggetti antitetici, il bagnino e i samurai, due culture e due visioni del mondo antitetiche, che però si sono trovate a vivere insieme la grande occasione dell’Italia: partecipare alla partita miliardaria della guerra mondiale al cancro. La partita è stata persa, e anche l’Italia ha perso. In questo libro racconteremo come e perché il nostro Paese, sprecando soldi e dilapidando talenti, è riuscito a farsi sfuggire il treno della modernità. Lo faremo partendo proprio dall’occasione offerta dall’oncologia, che ha visto da un lato il sistema paese, rappresentato dal bagnino, rinunciare al grande gioco della ricerca farmaceutica con una certa inconsapevole leggerezza, e dall’altro la comunità medico-scientifica, rappresentata dai samurai, che è riuscita nonostante tutto a fare molto, a essere credibile e autorevole e conquistarsi un posto nel mondo, ma che, con l’andare del tempo e i conseguenti mutamenti nei profili della ricerca, oggi arranca. É la storia di un miracolo sfumato, bruciato da una classe politica rapace, ignorante, retrograda e riottosa nei confronti della modernità, e da imprenditori con lo sguardo corto, che hanno preferito sperperare un patrimonio in insipienza, mancanza di strategie e mazzette ai politici, invece di raccogliere le sfide della grande industria scientifica in grado di fare ricerca biomedica».
Un estratto da Il bagnino e i samurai. La ricerca biomedica in Italia: un’occasione sprecata, di Daniela Minerva e Silvio Monfardini, pubblicato dal Secolo XIX (per continuare a leggere, scarica il PDF a lato).
Il bagnino è Carlo Sama, perché negli anni Sessanta così lo chiamavano sulle spiagge della Romagna, dove il futuro amministratore delegato di Montedison, aitante ragioniere ravennate, dava il meglio di sé conquistando la rampolla dei Ferruzzi, Alessandra.
I samurai, invece, sono sei giovanotti e una ragazza con gli occhiali che hanno dato vita alla moderna oncologia medica negli anni Sessanta in una Milano innamorata della scienza, votata al progresso e non ancora “da bere”.
Due culture e due visioni del mondo antitetiche, quelle del bagnino e dei samurai, che però si sono trovate a vivere insieme la grande occasione dell’Italia: partecipare alla partita miliardaria della guerra mondiale al cancro. La partita è stata persa, e anche l’Italia ha perso.
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