“Leggere un romanzo di Caroline Blackwood è come leggerne due. Non certo per la mole (solo 126 pagine) o per il pathos (tra angoscia e angoscia le pagine corrono via). Ma perché dietro la sua scrittura apparentemente semplice e limpida, si intuisce una esperienza umana difficile, un punto di vista di sconcertante irrequietezza e sofferenza che è, appunto, il vissuto della scrittrice”.
I salotti di Park Avenue e la solitudine di una ragazza abbandonata: nel suo romanzo La figliastra Caroline Blackwood racconta i due mondi che convivono nella stessa casa di Manhattan e che Irene Bignardi ricorda magistralmente così in un lungo articolo su La Repubblica.