Masterpiece

Masterpiece – Scrittori da talent

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«”In genere i romanzieri non capiscono molto di quel che fanno, non sanno perché funziona quando va bene, e per contro non sanno perché non funziona quando va male”. Se questa è la premessa -a teorizzarla è Stephen King nel suo manuale di scrittura On writing– c’è da chiedersi come faranno Giancarlo De Cataldo, Andrea De Carlo e Tayie Selasi, i tre giudici di Masterpiece, il primo talent show letterario in onda da domenica in seconda serata su Raitre, a valutare le capacità degli aspiranti scrittori. E forse, prima ancora, c’è da domandarsi se quelle capacità si possano misurare con sfide da reality. E poi, in un Paese che conta più scrittori che lettori, si sentiva davvero il bisogno di un programma così? I tre giudici si sono già dati un ruolo: De Carlo il cattivo, Selasi la comprensiva, De Cataldo l’alternativo. Di libri ne sono già volati, “ne ho lanciato uno”, sorride De Carlo, il cui volto luciferino ricorda quello di Carlo Cracco, re degli chef in un altro talent con cui Masterpiece condivide persino parte del titolo. Casualità? Non proprio, perché nonostante qui si confrontino dodici aspiranti scrittori e tutti si affrettino a definirlo un talent sì, ma letterario, la legge della tv è uguale per tutti. Quindi ecco la prima polemica. Il mondo della letteratura non condivide di finire tritato dai dati Auditel. Replica di De Cataldo: “Quelli che fanno polemica sono quelli che si erano candidati per fare i giudici, ma sono stati scartati”. De Carlo confessa di aver avuto dubbi prima di accettare. “C’era il pericolo che una dimensione privata come quella della scrittura potesse essere svilita da un mezzo invasivo come la televisione. Quando ho letto i primi manoscritti mi ero depresso, per lo più facevano schifo, ma il terzo giorno ho riconosciuto quel qualcosa di indecifrabile che è la qualità, il talento grezzo”.

La redazione di Masterpiece è stata invasa da oltre cinquemila romanzi: operai, disoccupati, impiegati, autori teatrali, giovani e anziani, donne e uomini. Tutti uniti dal sacro fuoco della scrittura. Ma anche spinti dal desiderio di andare in tv e apparire. “Spero che chi vincerà non sarà un personaggio, ma l’autore di un vero romanzo”, si augura Elisabetta Sgarbi, direttore editoriale della casa editrice Bompiani che pubblicherà (in centomila copie) il manoscritto vincitore. Dalle prime sei puntate, dedicate ai casting, usciranno i primi sei finalisti, che con altri sei, scelti dalla giuria e da una selezione sul web, passeranno alla gara vera e propria, in onda da febbraio in prima serata su Raitre, da cui uscirà poi il vincitore assoluto.

L’aspetto della gara non scandalizza Antonio Pennacchi, Premio Strega 2010: “Gli scrittori in realtà lo sono sempre… Prima di vedere pubblicato il primo libro ho ricevuto 55 rifiuti. Certo, bisognerà vedere come funzionerà il rapporto fra televisione e scrittura…”

“Quello che mi lascia perplesso” commenta lo scrittore Marco Mavaldi, la cui vendutissima serie di gialli del BarLume è approdata di recente anche in tv” è il principio stesso che sta alla base dei talent, cioè legare un’attività, di qualunque tipo, soprattutto dell’ingegno, all’idea del successo facile, immediato. Come se fosse dovuto. La parola talento rischia di far passare il messaggio che saper scrivere sia un dono che cade dal cielo, ma non è così. La scrittura richiede tanta, tantissima lettura. Poi, come in ogni altro mestiere, ci vuole la gavetta. E anche una dose di fortuna”.

Di altro parere Vittorio Bo, fondatore della casa editrice Codice, che anzi sottolinea le potenzialità di show di questo tipo: “Trattandosi di scrittura, si deve evitare l’eccesso di spettacolarizzazione, perché il rischio è quello di banalizzarla. Ma comunque sono molto curioso. E poi per noi editori può rappresentare una nuova fonte a cui attingere”».

Tiziana Leone ed Emanuela Schenone, Il Secolo XIX (per continuare a leggere, scarica il PDF a lato).

 

 

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