“Contro Steve Jobs” intervista esclusiva con Evgeny Morozov

In concomitanza con l’arrivo di Evgeny Morozov all’International Journalism Festival di Perugia, annunciamo l’uscita del suo pamphlet Contro Steve Jobs, disponibile in anteprima presso la sola libreria del Festival, e dal 3 maggio in tutti i punti normali vendita.

Il lancio è stato accompagnato da un piccolo ma crediamo interessante esperimento: un Tumblr dedicato in cui abbiamo raccolto dieci “contro”, dieci “pro” e dieci immagini significative raccolte in una lavagna virtuale nella quale, fra le citazioni di vari personaggi (compreso Jobs stesso), è possibile leggere un paio di stralci del libro di Morozov, riconoscibili dalla sigla E.M.

Insieme vogliamo farvi un altro regalo: abbiamo chiesto a Evgeny Morozov di rispondere ad alcune domande in esclusiva per noi. Ecco qui l’intervista: aspettiamo ovviamente i vostri commenti e le vostre considerazioni.

Buona lettura.

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La filosofia di Apple può rappresentare un buon modello anche per altre aziende? Un leader carismatico, semplicità, segreti, aspettative e presentazioni spettacolari?

Be’, credo che la maggior parte delle compagnie vorrebbe emularla, sicuramente. Dopo tutto la Apple è una delle aziende più stimate e redditizie del mondo, quindi non bisogna essere geni per capire che stanno facendo qualcosa di buono. Ma dubito che possa essere facile surclassare “il mito della Apple”; a Steve Jobs e alla Apple sono pur sempre serviti decenni di marketing mellifluo e design ardito, per arrivare dove sono ora. Jobs aveva previsto i vantaggi del coltivare una determinata “aura” intorno alla sua compagnia – penso che i collegamenti spirituali e intellettuali tra la Apple e la Braun o la Apple e il Bauhaus siano un buon esempio – e credo che le altre aziende di tecnologia vorrebbero avere la loro “aura”, con ogni mezzo possibile. Così abbiamo Google che enfatizza le sue origini “nerd” a Stanford mentre i suoi dirigenti continuano a sdilinquirsi sulle esplorazioni spaziali e le scoperte di asteroidi, e Facebook che fa un gran parlare del suo ambiente lavorativo college-style, le sue pareti d’ufficio coperte di graffiti e così via. Ovviamente la Apple non è stata la prima compagnia ad aver sviluppato una particolare immagine aziendale, ma penso che la loro ossessione per questa stessa immagine sia abbastanza unica nel settore tecnologico (fino ad allora riservato a ingegneri timidi che pensavano solo al business, almeno in America).

Apple ha aiutato a diffondere l’immagine di Internet come uno strumento di libertà?

Non sono sicuro che alla Apple sotto il controllo di Steve Jobs importasse realmente qualcosa di Internet. Lo vedevano sicuramente come una piattaforma utile per distribuire tutta una gamma di servizi – dalle apps alla musica -, ma non penso che lo vedessero in maniera molto diversa da un’enorme autostrada o da un supermarket che li avrebbe aiutati a raggiungere più clienti. In un certo senso questo atteggiamento molto “piedi per terra” era piuttosto sano, al contrario della maggior parte dei cyber-utopismi che dominavano il modo di pensare corrente sulla tecnologia negli anni ’90. Dall’altro lato, penso che questo rivelasse un certo qual fallimento dell’immaginazione, da parte di Apple, dato che – come l’utopista in me spera – Internet non significa solo contenuti di consumo e shopping, ma molto di più. Così temo che l’affermazione delle apps – che sta accadendo principalmente per merito o colpa di Apple – possa allontanarci da una rete Internet più diversificata, disordinata, e umana, che personalmente preferirei alla visione più controllata, ordinata e consumistica che la Apple sembra aver appoggiato.

La Apple è una compagnia del ventesimo secolo e il background culturale di Steve Jobs appartiene a uno specifico periodo del secolo scorso. Quali potrebbero essere le nuove regole di un’azienda fondata invece nel ventunesimo secolo?

Non sono molto convinto del fatto che i secoli siano dei veri e propri indicatori, o linee di demarcazione di cambiamenti culturali e politici indicativi. Semmai la resurrezione di Apple ha avuto inizio con l’iPod nel 2001, quindi la Apple di oggi è senza alcun dubbio un’azienda del ventunesimo secolo; la storia aziendale che va a ricadere nel ventesimo secolo viene ricordata solamente per coltivare strategicamente certi miti sulla compagnia (come le sue origini nel garage, eccetera: sotto molti aspetti, la Apple ha portato avanti molti trucchi e strategie già testate alla Braun), inclusa la sua disponibilità a collaborare con gli altri; molti prodotti Apple hanno parti non disegnate dalla Apple stessa. Questo è, penso, qualcosa che anche le compagnie del ventunesimo secolo continueranno a fare; l’idea dei prodotti interamente costruiti “in casa” è ormai obsoleta, grazie, in parte, alla Apple. Un altro lascito di Apple che credo sopravvivrà – e forse produrrà una nuova generazione di compagnie – è la sua attenzione verso l’industria multimediale, che si tratti di editoria, o di musica, o di film. Mi chiedo spesso se aziende come Spotify o Netflix esisterebbero, se Apple non avesse esorcizzato le paure verso questo tipo di business con iTunes. Sicuramente non è scontato che i servizi di streaming rimarranno attivi –ce ne sono pochi realmente redditizi – in quanto opposti ai servizi peer-to-peer, che sono da sempre associati alla pirateria digitale.

Qual è il ruolo del design nella tecnologia? Il rapporto tecnologia-cliente è cambiato negli ultimi dieci anni?

Il design ha giocato un ruolo essenziale nel successo di Apple, e penso che l’azienda sia la principale responsabile della rinascita dell’interesse verso il design tra gli altri marchi di tecnologia ed elettronica. Apple ha riabilitato il funzionalismo – l’idea che la forma debba andare di pari passo con la funzione -, ma ha anche dimostrato che i prodotti che seguono questa filosofia non devono per forza essere brutti; possono essere molto funzionali E ANCHE belli – qualcosa che lui ha preso direttamente dalla Braun. Allo stesso tempo, tuttavia, Apple spicca per un legame estremamente creativo con il software, e per l’esternalizzazione di molte delle funzioni che sarebbero tradizionalmente delegate all’hardware (pensiamo al ruolo di Apple nella trasformazione dei nostri telefoni in giganti schermi con pochi o nessun bottone). Francamente, non ho veramente idea di come Apple – e Steve Jobs soprattutto – sia arrivata ad accettare l’idea di applicazioni esterne all’azienda e di tutto il paradigma dell’AppStore, dato che va contro l’idea del designer col totale controllo sulle funzioni delle sue creazioni. Se il tuo telefono può, in teoria, essere usato per fare qualsiasi cosa, si può anche parlare di funzione adattabile di volta in volta, visto che le funzioni sembrano essere infinite? E’ una sorta di grande puzzle, e non penso che Apple o Steve Jobs l’abbiano intellettualmente e intimamente risolto.

La tecnologia è sempre più presente nella nostra vita e, al momento, non c’è nessun’altra figura paragonabile a Steve Jobs. Pensi che in futuro avremo bisogno di una personalità simile, o la tecnologia sarà in grado di brillare autonomamente?

Onestamente, non penso che il culto della personalità che era emerso attorno a Steve Jobs fosse una cosa sana. Era un grandissimo innovatore, certo, ma era anche una persona terribile, odiosa. Era un grande venditore, ed è riuscito a dare a molti prodotti tecnologici più successo di quello che avrebbero avuto senza il suo patrocinio, ma non era un Thomas Edison o un Albert Einstein. Ritengo che la tragedia di Steve Jobs sia che, come aspirante buddista, detestava tutto il chiasso attorno alla sua persona e fama, ma, in quanto uomo d’affari, comprendeva anche come la sua fama mistica fosse intrinsecamente legata al marchio Apple e che quindi portava dei benefici alla compagnia di cui lui era stato co-fondatore. Penso che alla fine lui fosse arrivato a un’intima soluzione della questione; il suo lato affaristico prevaleva su quello spirituale, e lui finì per accettare che doveva arrendersi a certi compromessi, se voleva che Apple avesse successo.

 

 

 

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