Elena Cattaneo

Elena Cattaneo: «La lotta per la scienza è sempre giusta»

Vi proponiamo un’intervista che Globalist ha fatto a Elena Cattaneo, appena nominata senatrice a vita dal Presidente Napolitano, in cui viene citato, in apertura d’articolo, Enrico Bellone, fisico, filosofo e storico della scienza scomparso nel 2011.

Enrico Bellone fu il primo docente chiamato, nel 1994, a occupare la cattedra galileiana dell’Università di Padova, e ha pubblicato con noi quattro libri: La scienza negata, L’origine delle teorie, Galilei e l’abisso, Qualcosa, là fuori.

 

«Appassionato conoscitore di Galileo nonché brillante divulgatore scientifico, lo storico della scienza Enrico Bellone (morto prematuramente nel 2011) guardando allo scempio inflitto in Italia all’istruzione e alla ricerca pubblica da una politica miope e gretta citava spesso una nota che il genio toscano aveva segnato sulla copia del suo Dialogo da cui non si separava mai: «Le novità possono mettere a repentaglio le Repubbliche e gli Stati, e allora chi ha il potere, che è ignorante, diventa giudice e piega gli intelligenti».

Poche frasi che dimostrano quanto il grande scienziato fosse consapevole a cosa andava incontro sposando la nuova cultura scientifica rinascimentale. Quella nata a cavallo tra il ‘500 e il ‘600 all’esterno delle università e fondata sull’idea del confronto, della «disputa attorno a qualsiasi cosa». Sia essa su matematica, fisica o ingegneria. Era una cultura pubblica, democratica quella che coinvolgeva Galileo. Ed è nel suo tempo che comincia a diffondersi quel metodo, ancora attuale, secondo cui chi sostiene una teoria viene invitato a esporre pubblicamente le ragioni per cui pensa che ciò che sta dicendo è vero. Un metodo che dimostra tutta la sua solidità circa 250 anni dopo con la teoria evoluzionista di Charles Darwin. Quando cioè si verifica un ulteriore salto di paradigma che apre la strada a ricerche nel campo della biologia impensabili fino ad allora.

La «disputa attorno a qualsiasi cosa» è ancora oggi il motore della ricerca. E ancora oggi, 400 anni dopo il “processo Galileo”, a gettare sabbia dentro questo motore per tentare di piegare il processo scientifico a logiche politiche o religiose, ci sono numerose istituzioni sia nazionali che internazionali. Pure in Occidente. Emblematico in tal senso è l’esempio della ricerca nel campo delle cellule staminali. Che vede da un lato la comunità scientifica mondiale impegnata nella verifica del rispettivo ruolo che le cellule embrionali e quelle adulte potrebbero avere nel progresso della medicina rigenerativa.

In quel campo cioè che si ripropone di creare in laboratorio organi e tessuti umani per “sostituire” quelli danneggiati da gravi malattie genetiche e degenerative. E dall’altro una serie di embarghi, paletti, legacci e lacciuoli di volta in volta imposti da uno Stato, da una comunità di Stati o da un’istituzione giuridica internazionale ai ricercatori, avanzando motivazioni che con la scienza e il bene pubblico non hanno nulla a che fare.

Alla luce del premio Nobel per la Medicina assegnato a John Gurdon e Shinya Yamanaka per il loro decisivo contributo allo sviluppo della ricerca medica rigenerativa, per capire quali scenari si aprono sia a livello scientifico che politico, Babylon Post ha rivolto alcune domande a Elena Cattaneo che dirige il laboratorio Cellule staminali e malattie degenerative dell’Università di Milano. La professoressa Cattaneo è famosa nel mondo per i suoi studi sulla Corea di Huntington, una malattia degenerativa incurabile che (per semplificare) presenta alcune analogie con il morbo di Parkinson.

Lei ha raccontato più volte, anche a chi scrive, che «oggi riusciamo a produrre in laboratorio vere cellule neuronali solo dalle staminali embrionali umane. Possono essere usate per capire la malattia o studiare strategie di trapianto». Come si inserisce in questo contesto la ricerca di Yamanaka sulle staminali adulte?
Yamanaka ha scoperto che possiamo ottenere cellule simili alle staminali embrionali riprogrammando cellule adulte della pelle. Questa volontà di riportare le cellule adulte allo stadio di staminali embrionali ci fa anche capire bene l’importanza scientifica di disporre di staminali embrionali. Le staminali embrionali sono infatti fenomenali perché pluripotenti e quindi da esse si ottengono tutte le cellule specializzate del nostro organismo. Da queste cellule otteniamo neuroni che altrimenti non riusciremmo a “creare” da nessun’altra staminale. Oltre alle staminali embrionali “vere”, derivate dalle blastocisti sovrannumerarie, grazie al lavoro di Yamanaka disponiamo ora anche di una staminale embrionale “surrogata”, artificiale, che possiamo ottenere partendo dalla nostra pelle adulta. Si tratta di una scoperta che ha rivoluzionato la biologia e che potrebbe fare molto anche dal punto di vista farmacologico e medico. Si tratta di ipotesi che vanno perseguite e dimostrate. Ecco perché è importante continuare a lavorare in parallelo, con staminali embrionali vere e con le nuove embrionali surrogate, confrontandone limiti e potenzialità.

Molti suoi colleghi ritengono probabile che prima o poi si scoprirà che la tecnica della riprogrammazione è ideale per ottenere modelli di malattia in vitro. È d’accordo?
Sono anche io di questa idea. Riprogrammando fibroblasti da pazienti con malattie, è infatti possibile ottenere in vitro un modello paziente-specifico di malattia, su cui studiare meccanismi e sviluppare farmaci. Questo rappresenta oggi il campo più battuto dalla ricerca con le staminali riprogrammate. Ovviamente è anche possibile ottenere cellule specializzate dalle cellule riprogrammate, per esempio neuroni. Ma quanto questi neuroni ottenuti da cellule riprogrammate siano veramente uguali a quelli ottenuti dalle embrionali “vere” e quali siano più adatte all’eventuale trapianto è ancora da capire. Non sappiamo nemmeno se le staminali, in generale, diventeranno mai uno strumento di trattamento per le malattie neurodegenerative. Ecco perché non possiamo lasciare perdere nessuna possibilità. Le cellule riprogrammate, proprio perché riportano indietro nel tempo un DNA adulto, possono trasportare la memoria dell’età o della specifica cellula specializzata da cui sono state originate. Potrebbero, una volta trapiantate, tornare allo stato nativo, generando in loco i fibroblasti di partenza. Sono tutte ipotesi da verificare e confutare. Ma oggi certamente c’è una scoperta che permette di pensare a strategie prima inimmaginabili».

Federico Tulli, Globalist (per continuare a leggere, clicca QUI).

 

Le ultime news di Codice