Un altro futuro è possibile: su Homo pluralis di Luca De Biase

Wired

«Una strana ma opportuna coincidenza mi ha accompagnato nella stesura di queste poche righe su Homo pluralis. Essere umani nell’era tecnologica di Luca De Biase. Nelle stesse ore il caso, gli studi e insieme la personalizzazione dei servizi Internet mi hanno messo sotto al naso una serie di vecchie interviste a Noam Chomsky sul rapporto tra media e propaganda, un editoriale di Jamie Bartlett su come sconfiggere davvero ISIS e uno splendido, spietatissimo intervento di Christopher Hitchens sul significato profondo della libertà di espressione, nella sua accezione più pura e inconfutabile.

Temi diversi per autori diversi, ma accomunati credo da uno stesso messaggio: ampliate lo sguardo, ponetevi domande che mettano in discussione la visione tradizionale del sistema dell’informazione in cui siete immersi, sviluppate una reale autonomia di giudizio. E fatelo ora, se volete rimanere umani. Ci sono molti modi per dirlo, ma lo sfondo è simile. In Chomsky, combattere il “sistema di filtraggio” che ci indottrina rendendoci vittime del “modello della propaganda”; in Bartlett, sostenere che la risposta all’ideologia di ISIS “sta nell’insegnare ai giovani come si pensa in modo critico, come misurare e valutare da loro stessi l’informazione che incontrano online” (è in questo che stiamo fallendo). Quanto a Hitchens, è tutto in ‘On Free Speech’: “Non rifugiatevi nel falso senso di sicurezza del consenso, nella sensazione che qualunque cosa pensiamo sia destinata a essere accettabile perché siete al sicuro nella maggioranza morale”.

Quello sguardo complessivo in De Biase si chiama “narrazione”, ed è il filo che consente di non smarrirsi nelle 200 pagine del volume edito da Codice, concise ma dense – a partire dai riferimenti culturali, che spaziano dalle neuroscienze all’economia cognitiva, dalla teoria dell’informazione alla prassi della propaganda. Anche la rete, argomenta De Biase, è una “narrazione”. Anzi, più precisamente, “Internet è la sua stessa metafora”. Non solo o non tanto cavi, infrastrutture, dati, piattaforme, utenti: la rete “è la visione di chi la interpreta”. E ciascuna di queste visioni comporta diversi limiti e possibilità per la capacità stessa di pensare il rapporto tra uomo e tecnologia, e dunque il nostro futuro.

Il punto è che anche questa “narrazione”, la rete, necessita di uno sguardo più ampio e insieme più complesso di quello fornito dalle attuali narrazioni dominanti: da un lato, il mercato con la sua promessa di efficienza automatica (che si traduce invariabilmente in monopoli e disuguaglianze); dall’altro, il determinismo tecnologico, per cui “la soluzione a ogni problema emergente arriverà dai risultati dell’evoluzione ingegneristica”. Sembra così che il nostro sguardo sia costretto in una dicotomia asfissiante tra singolo e collettività, tra comportamenti individuali perfettamente scrutabili e manipolabili e comportamenti di massa altrettanto scrutabili e manipolabili. Risultato? Quello che sta sotto gli occhi di tutti: la retorica dell’utopia liberatrice si è tramutata in un incubo di sorveglianza, controllo e generazione di desideri artificiali sempre più precisamente tarati sulle preferenze e i comportamenti degli utenti.

Ma non siamo costretti a sottometterci a una di queste due “narrazioni”, scrive De Biase: possiamo, anzi dobbiamo, abitare il presente con l’ambizione di ribadire che l’uomo viene prima della tecnica, e che ne è e deve restare il padrone. “Un altro futuro è possibile”, si legge, a patto che si cambi “narrazione” di riferimento, adottandone una “ecologica” che salvaguardi sostenibilità e complessità dell’umano, il suo essere intrinsecamente “plurale” – termine chiave nel volume che tuttavia non trova, a mio avviso, una definizione sufficientemente precisa e funzionale – e quindi irriducibile alle richieste, stupide e banalizzanti, delle piattaforme che usiamo (“Ti piace?”, “dove sei?”, “cosa stai facendo?”). Nelle parole dell’autore: “La dimensione plurale di cui stiamo parlando non è né collettiva né individuale: è comune, relativa ai collegamenti molteplici tra le persone e le circostanze diverse nelle quali vivono, relativa al modo con il quale quei collegamenti influiscono sulle persone e sulle loro azioni, ponendo vincoli e offrendo opportunità“.

Così l’intelligenza collettiva (“procedurale, automatica, meramente collettiva”) diventa “intelligenza plurale”, ossia un sistema con l’ambizione di non solo prendere decisioni più partecipate, ma che possa “migliorare effettivamente le decisioni”; l’innovazione non si riduce alla “moltiplicazione delle novità” ma serve la qualità della vita; e i social media, che vorrebbero ridurci ai nostri like, si riconfigurano come “media civici”. Perché, scrive De Biase, “quando si devono prendere decisioni che riguardano il “bene comune” non si può limitare a far incontrare quelli che ci piacciono: occorrono sistemi per far dialogare costruttivamente persone che, appunto, non necessariamente si piacciono”. E non è semplice come credevamo, scrivono Eli Pariser ed Ethan Zuckerman».

Fabio Chiusi, Wired (per continuare a leggere sul sito di Wired, clicca QUI).

 

35 - Vineis_115x180_DEFMercati finanziari automatizzati; relazioni umane mediate dai like su Facebook; un flusso d’informazioni incessante e invadente; protesi digitali che arricchiscono l’esperienza. Le macchine sembrano conquistare funzioni sempre più autonome dall’intervento dell’uomo, e le piattaforme online sulle quali ci informiamo e coordiniamo impongono i loro algoritmi, mentre raccolgono e analizzano enormi quantità di dati imparando dagli utenti. È una dinamica evolutiva digitale che richiede un drastico adattamento culturale. Con Homo pluralis Luca De Biase propone un approccio all’infosfera che supera la contrapposizione tra ottimismo tecnofilo e allarmismo neoluddista, e riconosce la necessità per l’uomo di diventare cittadino consapevole di questo nuovo ambiente digitale, imponendo la propria creatività, intelligenza e senso etico, e conquistando così una dimensione più autentica.

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