Su Vanity Fair, Michele Razzetti dedica un articolo alla neurogastronomia, nata per «comprendere come il cervello crea i sapori che sperimentiamo». Il padre di questa disciplina è Gordon M. Sheperd, autore di All’origine del gusto, che ha voluto «fornire all’alimentazione sana una nuova base» che poggia sulle neuroscienze.
Tra le rivoluzioni della neurogastornomia, quella sul concetto di gusto e sapore: «per Shepherd sarebbe più corretto utilizzare il termine sapore in relazione a un alimento, piuttosto che gusto. Questo anche perché il sapore di ciò che mangiamo è in realtà dovuto in gran parte non al senso del gusto – che è comunque coinvolto insieme a tutti gli altri sensi – ma più che altro all’olfatto».
«Fra le varie intuizioni della neurogastronomia, quella sul rapporto cibo-memoria è particolarmente intrigante. Anche qui in parole il più semplici possibili, potremmo dire che un odore lascia un segno in alcune aree del cervello; lascia un’impronta, o meglio ancora, un’immagine. E proprio come riusciamo – chi più, chi meno – a riconoscere i volti delle persone, grazie agli studi neurogastronomici sappiamo che questa abilità si applica anche agli odori. Certo, non abbiamo ricettori olfattivi numerosi come quelli di altri animali; tuttavia la dimensione del nostro cervello è maggiore. «Gli esseri umani hanno un senso del sapore molto sviluppato per via della complessa elaborazione che avviene nel loro grande cervello»; non ci sbagliamo troppo, quindi, se diciamo che in realtà gran parte del sapore risiede nel cervello. Non per niente Shepherd parla proprio di sistema cerebrale umano del sapore.»