Mary Lasker, la Miranda Priestly che dicharò guerra al cancro

D - La Repubblica

«Capelli corvini, occhi neri e penetranti, e quell’allure supertrendy newyorkese che, secondo le diverse declinazioni della moda, ha dipinto le cosiddette socialite, zarine dell’alta società, dame potentissime e ricchissime, determinate e sprezzanti. La chiamavano “Angel of mercy”, per il suo costante afflato umanitario, ma in realtà sembrava più una del genere il diavolo veste Prada che non madre Teresa di Calcutta.

Mary Lasker, nada Woodard, era americana fino al midollo: fede repubblicana, fiducia assoluta nel potere del denaro e nella potenza dell’America, portatrice di un pensiero semplice e concreto, molta muscolarità e pochi dubbi. Diventò ricca nel dopoguerra inventando Hollywood Patterns, un brand da due soldi che copiava gli abiti di design vendendoli nei grandi magazzini a un target del tutto nuovo: la crescente forza lavoro impiegata negli uffici. Sposò Albert Lasker, altro protagonista dei salotti, considerato il primo pubblicitario a usare gli stilemi del moderno linguaggio dell’advertising: la riduzione di un messaggio ai suoi elementi più semplici e quindi immediatamente apprezzabili da qualunque pubblico. Un mix che nelle mani di Mary sarebbe diventato un nuovo modo di pensare la medicina. Le molte ricostruzioni agiografiche della sua vita raccontano di come la giovane Mary avesse incontrato la malattia sin da piccola, di come non avesse voluto accettare che l’unico rimedio contro la cardiopatia che affliggeva entrambi i genitori fosse lo stare tranquilli e di come si fosse infuriata perché nessuno osava pronunciare la malattia che uccise la sua cuoca. Insomma, Mary Lasker diede di sé l’immagine di un’eroina americana sempre in lotta contro il male, che contava di vincere perché in America tutto è possibile. Si fece descrivere nelle biografie autorizzate come una combattente in trincea contro la sofferenza, ma i suoi critici, invece, la dipingevano come un’intrallazzona sempre in pista tra industriali, banchieri e senatori, incapace di comprendere il senso profondo della scienza, e convinta che tanti soldi e un’organizzazione verticistica servissero molto più del pensiero e del libero scambio di idee. Di certo, però, fu lei a inserire con prepotenza il cancro nel discorso pubblico americano. Lo fece a partire dall’aprile del 1943, quando “una mattina irruppe nel mondo della ricerca sul cancro in modo del tutto inaspettato”».

D La Repubblica (per continuare a leggere, scarica il PDF a lato).

 

Avete letto un estratto da Il bagnino e i samurai. La ricerca biomedica in Italia: un’occasione sprecata, di Daniela Minerva e Silvio Monfardini, appena uscito.

Daniela Minerva, Silvio Monfardini - Il bagnino e i samuraiIl bagnino è Carlo Sama, perché negli anni Sessanta così lo chiamavano sulle spiagge della Romagna, dove il futuro amministratore delegato di Montedison, aitante ragioniere ravennate, dava il meglio di sé conquistando la rampolla dei Ferruzzi, Alessandra.
I samurai, invece, sono sei giovanotti e una ragazza con gli occhiali che hanno dato vita alla moderna oncologia medica negli anni Sessanta in una Milano innamorata della scienza, votata al progresso e non ancora “da bere”.
Due culture e due visioni del mondo antitetiche, quelle del bagnino e dei samurai, che però si sono trovate a vivere insieme la grande occasione dell’Italia: partecipare alla partita miliardaria della guerra mondiale al cancro. La partita è stata persa, e anche l’Italia ha perso.

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