L’utopia hippy di Lauren Groff – il manifesto

Il manifesto

«Da alcuni anni ormai, superato lo smarrimento e il ripiegamento post-11 settembre, la narrativa americana ha ripreso progressivamente a interrogarsi su se stessa, sul proprio ruolo, sulla propria capacità di descrivere e accompagnare le mutazioni in atto, dentro e fuori dai confini statunitensi. La guerra in Iraq, avvolta per diverso tempo in un assordante silenzio, ha trovato voci -da Kevin Powers a Ben Fountain, a Phil Clay- in grado di raccontarla, in continuità e al contempo in dissonanza rispetto alla grande tradizione di Crane, Hemingway, Mailer, Heller. Ora sembra giunto il turno delle grandi utopie libertarie e di sinistra che hanno scosso l’America nel secondo dopoguerra e in particolare negli anni Sessanta, e che rivivono nelle pagine di due romanzi usciti negli Stati Uniti rispettivamente nel 2012 e nel 2013, e da noi quest’anno, a distanza di poche settimane uno dall’altro. I giardini dei dissidenti, appassionante rievocazione dell’intera storia del radicalismo americano di sinistra coniugata come romanzo di famiglia, è firmato da un autore, Jonathan Lethem, ormai salito nel pantheon della fiction contemporanea; la stessa cosa non si può dire invece, o non ancora, di Lauren Groff, autrice di Arcadia (traduzione di Tommaso Pincio, Codice Edizioni), il magnifico oggetto narrativo che inaugura, all’interno di una casa editrice specializzata in letteratura scientifica, una nuova linea incentrata sulle storie, in ogni loro accezione.

Di Lauren Groff, scrittrice interessantissima, trentacinquenne, che pubblica con regolarità sul New Yorker e sull’Atlantic Monthly, è già stato pubblicato (da Einaudi) il romanzo d’esordio, I mostri di Templeton, segnato da una scrittura di prodigiosa ricchezza, capace di muoversi senza soluzione di continuità tra indagine psicologica, ricerca storica e divagazione fantastica, e accolto in patria dal plauso convinto di un vero maestro della contaminazione di registri come Stephen King.

Ancora inedita in Italia è invece la splendida raccolta di racconti Delicate Edible Birds, che, mostrando una padronanza assoluta della forma breve, ha confermato il talento insolito dell’autrice.

Arcadia aggiunge un tassello importante a una carriera sempre più destinata a lasciare il segno: Lauren Groff riprende dal romanzo d’esordio la capacità di calarsi nei meandri della storia nazionale partendo da un luogo specifico e fondendo armoniosamente registro realistico e fuga nel fantastico, e al contempo, se possibile, allarga ancor di più il proprio campo di ricerca e osservazione, abbracciando, grazie a un’armoniosa suddivisione in quattro sezioni, più di quarant’anni di storia.

Tutto parte da Arcadia, per l’appunto: che oltre a essere il titolo del romanzo è il nome di un luogo, di una villa attorno alla quale si raduna una comunità hippy. Vegani, alieni da ogni forma di crudeltà verso gli animali, in fuga dalla civiltà urbana, decisi a vivere dividendo tutto, in assoluta e liberatoria promiscuità, Handy, i suoi seguaci e il loro esperimento dominano le prime due parti del romanzo, ambientate rispettivamente alla fine degli anni Sessanta e negli Ottanta, in pieno reaganismo, mentre la terza sezione segue il protagonista e coscienza centrale del libro, Ridley “Briciola” Stone, ormai adulto, nella New York post-11 settembre, e la quarta ne segna il ritorno in una Arcadia ormai irriconoscibile, per assistere la madre in fin di vita ma soprattutto per confrontarsi con un passato che non lo ha mai abbandonato e ha segnato per intero la sua esistenza.

(…)

Ovviamente, il romanzo Arcadia, come sempre accade alla vera, grande letteratura, finisce per ergersi a negazione della sua stessa epigrafe: perché qui le storie non vanno perdute, e se ne accetta senza esitazioni lo statuto incerto e sospeso tra concretezza e manipolazione, nella consapevolezza antica che proprio in ciò che “non è vero” si nascondono a volte le verità più profonde. L’Arcadia cui Briciola fa costantemente ritorno, proprio come l’utopia di cui essa è portatrice, rimane perennemente sospesa tra un sogno di perfezione e i segni di un decadimento, di una rovina che è contenuta nelle sue stesse premesse. Nel pieno rispetto di un’antica distinzione, che attraversa l’intera traiettoria del romanzo americano, Groff rinuncia al novel, al ritratto a tutto tondo di un contesto storico, ambizioso e totalizzante, scegliendo piuttosto la via del romance, della narrazione che si muove sulla linea di confine tra reale e fantastico. Racconta dunque un sogno ricorrendo al sogno, calandosi prima nella mente di un bambino, poi di un adolescente, quindi di un uomo ossessionato dal suo passato, e deciso, in fondo, a tutelarlo, sapendo che senza quel passato non avrebbe più ragione di esistere. Un miracolo di equilibrismo, Arcadia: l’ultima rievocazione di quella terra di nessuno tra sonno e veglia nella quale Hawthorne, Melville e Poe avevano piantato i loro vessilli. Va dato merito a Codice di aver portato questo poccolo, grande prodigio nelle mani dei lettori italiani: esaltato, per giunta, da un impeccabile lavoro editoriale, e da una traduzione, a firma di Tommaso Pincio, davvero da applausi».

Luca Briasco, il manifesto (per leggere l’articolo completo, clicca QUI).

 

Groff_ArcadiaAmerica, stato di New York, fine anni Sessanta. Un gruppo di giovani decide di fondare una comune basata suil’amicizia, la condivisione, l’amore e l’indipendenza dal denaro. La chiameranno Arcadia. Ed è qui che nasce Briciola, il primo dei molti figli che andranno a popolare un mondo bucolico e ricco solo di ideali, ben presto corrotti dalle difficoltà della convivenza. La fine della comune costringerà Briciola e il suo grande amore Helle, nati e cresciuti in un mondo popolato da sognatori, a misurarsi con il mondo reale, quello della New York degli anni Ottanta.

 

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