Su Il Bo Live, il magazine dell’Università di Padova, Francesca Buoninconti (autrice di Senza confini) “tira le somme” della devastante stagione degli incendi in Australia.
«In questi mesi terribili, nel sud-est dell’Australia sono andati in fumo oltre 10 milioni di ettari (più altri sette nel Northern Territory), comprese grosse fette di parchi nazionali e aree naturali protette che ospitano ecosistemi unici e alcune tra le specie animali e vegetali più rare del pianeta.»
Anche consultando il report del governo australiano, è impossibile fare un conteggio esatto degli animali morti e delle specie vegetali perdute, poiché si riferisce solo alle specie considerate a rischio (con vari livelli di rischio estinzione), e ci sono solo stime che riportano la percenutale di areale che si ipotizza sia andato distrutto dal passaggio del fuoco.
«Fatte queste doverose premesse, fino a oggi gli incendi avrebbero colpito 186 specie “vulnerabili”, 110 “in pericolo” e 31 “in pericolo critico”. Stiamo parlando ovviamente di specie endemiche dell’Australia, che vivono solo lì, spesso in aree ristrettissime di qualche chilometro quadrato. Sono ben 272 piante, a cui si aggiungono 16 mammiferi, 14 rane, 9 uccelli, 7 rettili, 4 insetti, 4 pesci e un ragno, e quattro uccelli migratori per un totale di 331 specie. Tutte hanno perso almeno il 10% del loro areale, ma c’è chi ha subìto danni davvero gravi. Ben 49 specie, tra cui 8 “in pericolo critico”, hanno perso più dell’80% del loro areale e altre 65, di cui 29 “in pericolo”, ne hanno visto scomparire tra il 50 e l’80%. Scorrendo l’elenco, la prima cosa che salta all’occhio è che sono per lo più piante. E a parte i pini di Wollemi, nessuna di loro è mai stata citata dai media. Ci sono per esempio ben 15 specie di acacia e 18 di eucalipto, alberi eletti simbolo degli ambienti australiani perché “adattati agli incendi”. E in qualche modo, erroneamente, creduti immuni al fuoco. In generale il genere Eucalyptus comprende più di 700 specie, che presentano degli adattamenti al fuoco: hanno corteccia e foglie ricche di oli altamente infiammabili, prendono fuoco facilmente. Potremmo dire quasi appositamente: il fuoco serve agli eucalipti per liberare i semi dalle wooden pods, dei gusci resistenti in cui sono custoditi. E una volta passato l’incendio, in pochi giorni, si schiudono le gemme dormienti sotto la corteccia “a sfoglia” e in poche settimane l’albero è di nuovo ricoperto di foglie verdi. Ma tutto questo non basta per definirli “immuni”. Le specie resistenti al fuoco, dette pirofite, in realtà si sono «adattate a precisi regimi di incendi», come spiega il botanico Renato Bruni nel suo Mirabilia. Cioè “a un’esatta combinazione tra tipologia di fiamme (di chioma o a terra), temperature sviluppate (150-200 °C di una savana che brucia per pochi minuti o 300-400 C° di un incendio boschivo persistente) e soprattutto frequenza (un incendio ogni due, tre anni o uno ogni cinquanta). Quando una sola di queste variabili cambia, il fuoco non è più un evento a cui poter resistere, ma diventa catastrofico per gli habitat come lo è per noi umani”».