Il lungo viaggio dell’uomo

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«Ian Tattersall è un’autorità indiscussa nel campo della paleoantropologia – lo studio della documentazione fossile umana – e si dedica da anni a un’efficace divulgazione scientifica con l’intento di comunicare la nuova visione dell’evoluzione dell’uomo che emerge dalle ricerche più recenti. A lungo i paleoantropologi hanno organizzato i reperti in modo da disegnare un percorso solitario, graduale e lineare; le nuove tecniche di datazione, l’antropologia molecolare, la stessa revisione della teoria dell’evoluzione oltre la Sintesi Moderna hanno cambiato radicalmente il quadro, facendo emergere in primo luogo la grande varietà di ominidi – diretti antenati o rami collaterali – che sono a lungo convissuti prima della recente affermazione di Homo sapiens, in secondo luogo l’andamento non graduale delle storie evolutive, costellate di discontinuità forti tra cui la più importante è rappresentata dal “balzo comunicativo e cognitivo” che ha fatto emergere il linguaggio e il pensiero simbolico.

“La storia di come siamo diventati umani è molto lunga ed è meglio raccontarla fin dalle sue origini più remote”, anche perché ciò che rende la nostra specie insolita è, per Tattersall, appunto il ragionamento simbolico, che “non solo manca ai nostri più stretti parenti viventi, le grandi scimmie antropomorfe, ma sembra assente anche nei nostri parenti estinti più prossimi (e perfino nei primi esseri umani con le nostre sembianze)”. Tuttavia condividiamo numerose caratteristiche intellettive con questi parenti, caratteristiche che rappresentano significativi “vincoli storici”. Il nostro cervello non è progettato e ottimizzato come una macchina, né è il frutto di un progressivo perfezionamento: è piuttosto una riorganizzazione di elementi nuovi e strutture antiche, con riadattamenti a inedite funzionalità (exaptation) e vere e proprie innovazioni. Il tutto con un certo disordine e molta casualità: ma “sono proprio il disordine e la casualità frutto della sua storia a rendere il nostro cervello (e noi stessi) un’entità così intellettualmente fertile, creativa, emotiva e interessante”.

Il lungo viaggio – un percorso lungo tre milioni e mezzo di anni – parte dal genere Australopitecus (“scimmia del sud”), il cui più famoso rappresentante è Lucy, scoperta nel 1974 nell’Etiopia nordorientale: scimmie antropomorfe bipedi vissute in un periodo di tempo compreso tra 3,8 e 1,4 milioni di anni fa in una grande varietà di specie e con una vasta diffusione. Questi ominidi erano bipedi ma anche buoni arrampicatori; avevano una dieta che includeva grassi e proteine animali (la dieta si può oggi stabilire sulla base degli isotopi del carbonio presenti nei denti e nelle ossa) ma erano più cacciati che cacciatori e rubavano probabilmente prede e rifiuti ai grandi carnivori; utilizzavano strumenti ed esibivano comportamenti specializzati come il lancio (“per lanciare un oggetto con precisione occorre una perfetta sintonia tra la mano e l’occhio, nonché la capacità di mettere assieme un’intera sequenza di azioni basandosi sull’istintiva certezza di ciò che serve in quel momento”); vivevano in gruppi probabilmente abbastanza vasti con un’organizzazione sociale flessibile. Tattersall cerca di dare anche un’idea del “mondo interiore” di questi ominidi, generalisti (cioè non specializzati) e onnivori, capaci di sfruttare con versatilità ciò che la foresta e la savana potevano offrire, che ad un certo punto hanno cominciato a produrre utensili in pietra e a trasportare i materiali necessari per realizzarli, fatto che indica un livello di complessità cognitiva superiore a quello che conosciamo nella attuali antropomorfe».

Maria Turchetto, UAAR.it (per continuare a leggere, clicca QUI).

Il viaggio, iniziato circa sessantamila anni fa da un remoto angolo dell’attuale Etiopia, che ha portato uno sparuto gruppo di homo sapiens a colonizzare l’intero pianeta, è la prima, emozionante narrazione della storia dell’uomo: il momento fondativo in cui tutto è cominciato. Quella dei nostri antenati non è stata però un’avanzata solitaria e lineare, bensì una lunga convivenza -in certi casi una competizione- con le altre specie di ominidi che già popolavano i continenti milioni di anni prima della comparsa del genere homo; l’approdo tutt’altro che scontato di un percorso evolutivo difficile e articolato. Poi, nel giro di poche decine di migliaia di anni, qualcosa è successo; qualcosa di potente, così potente, inaspettato e rivoluzionario da permettere a homo sapiens di rimanere unica specie umana sopravvissuta, rendendoci così, davvero, ‘i signori del pianeta’.