«Non erano i nostri giorni, il tempo del monopolio. La cronaca insegna: quattro player a spartirsi il mondo, dal virtuale al reale. Google, Apple, Facebook, Amazon. Sorrideva, il globo, all’idea della rivoluzione digitale, prima della guerra (tardiva) del Parlamento Europeo a Larry Page e Sergey Brin, contro i lobbisti loro sostenitori al congresso USA, eppure, qualche anno fa, quando Douglas Rushkoff, teorico dei media fra i più apprezzati d’oltreoceano, scriveva il suo capolavoro Presente continuo (in Italia tradotto da Giovanni Giri e Sergio Orrao per Codice), già provava a dare risposte ai problemi dei nostri giorni. Tentava di riflettere sul rapporto tra tecnica, libera opinione, pensiero, società. Perché sì, certo, “il futuro che abbiamo rincorso per buona parte del Ventesimo secolo è arrivato”. Ma le nostre vite in multitasking, la continua violazione della nostra privacy, l’impatto della tecnologia sull’informazione sembrano avere più colonizzato che liberato le nostre coscienze.
Per quale motivo? Nel libro c’è un punto di partenza: esisterebbe, oggi, un neorelativismo indotto nelle nostre vite dalla tecnica stessa.
La gente non tiene più il passo, questo è certo. E io non penso neppure che ci si debba provare, a stare dietro alla velocità della tecnica. Se cerchiamo di tenere il passo con ogni notizia che ci passa sotto gli occhi, dall’ultimo attacco di uno squalo segnalato dalle cronache al più recente fenomeno politico o popolare, beh, non possiamo più, di fatto, conoscere nulla. Le applicazioni per l’informazione che usiamo oggi, da Twitter a Facebook, creano solo l’illusione di andare di pari passo con le news in tempo reale, quando in effetti ci impediscono di pensare.
È un’affermazione reazionaria, direbbe qualcuno.
No. È come se questi mezzi, alcuni dei nuovi media, fossero stati progettati per tenerci distratti da ciò che conta, o per costringerci a reagire, sempre, nel modo più elementare possibile. E sì: c’è una sorta di relativismo che si verifica. Non è un relativismo cosciente, però. Assomiglia più alla disponibilità a considerare un fatto di gossip alla stregua della notizia della morte di un bambino.
Presente continuo è un libro che invita al rivoluzionamento di pratiche collettive e atteggiamenti soggettivi nel contesto della cultura digitale che oggi è cultura dominante?
Non so se posso dirmi d’accordo con la definizione. Perché non sono un grande fan delle rivoluzioni. Quindi non direi che il mio libro pone una domanda in favore di una radicalità. Non sono neppure a favore della rinascita di vecchie idee in un nuovo contesto.
Come si spezza il cerchio, allora?
Vorrei recuperare attitudini e pulsioni davvero umane, vorrei utilizzare la tecnologia digitale per dare loro corpo e moltiplicarle, invece di sopprimerle come oggi accade. Il libro è un appello per un’applicazione della tecnologia più finalizzata all’umanità stessa.
Abbiamo perso per strada, però, le retoriche entusiaste di inizio millennio sulla cultura digitale. Quanto è cambiato il nostro sentire collettivo su internet?
Io direi che qualcosa era cambiato già tra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90. Prima internet era uno spazio di gioco, uno spazio di ricerca, un luogo in cui le persone potevano immaginare, per così dire, una nuova società lavorativa senza troppi vincoli economici o politici. Internet era stato pensato come un luogo di possibilità».
Jacopo Guerriero, Avvenire (per continuare a leggere su Avvenire, clicca QUI).
Il futuro che abbiamo rincorso per buona parte del ventesimo secolo è finalmente arrivato: oggi la tecnologia a nostra disposizione ci permette di essere sempre connessi con chiunque e di avere a portata di mano ogni tipo d’informazione, in qualunque momento. Ma qual è stato l’effetto sulle nostre vite di questa incredibile compressione di spazio e tempo? L’era dell’accesso totale ha un rovescio della medaglia che avevamo sottovalutato. I social network alimentano l’ansia di un costante “qui e ora” senza direzione e priorità, frammentato e distratto; le e-mail e la messaggistica istantanea ormai sono un assalto; e noi siamo sopraffatti da un illusorio presente continuo che ci sfugge sempre di mano. Douglas Rushkoff firma uno dei migliori saggi degli ultimi anni sul rapporto tra tecnologia, società, cultura e vita quotidiana.
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