Democrazia digitale? Renzi è una conferma del personalismo

Messaggero Veneto

«Nel felice paese del Facebookistan si crede che un clic ci possa riportare all’agorà ateniese. Non è così, ammonisce Critica della democrazia digitale. La politica 2.0 alla prova dei fatti, di Fabio Chiusi, collaboratore e blogger del gruppo l’Espresso. Nel libro, pubblicato da Codice Edizioni, l’autore parte da premesse fortemente critiche sullo stato delle cose, svolgendo poi un articolato ragionamento, costellato di esempi e citazioni, per dimostrare che il web non è il rimedio di Dulcamara. Gli esperimenti fatti in altre parti del mondo hanno evidenziato limiti e problematicità, e la strada per rendere utile e sicuro l’uso di internet in materia di politica e amministrazione è ancora lunga, spiega Chiusi in questa intervista.

Un osservatore laico, né entusiasta né neoluddista, che parte da premesse paragrilline e arriva a conclusioni molto diverse. È così?

L’Economist Intelligence Unit, nel rapporto 2013, intitolato La democrazia a un punto morto, ne denuncia la “significativa erosione”. L’indice di fiducia nella politica che si registra in Italia è bassissimo. Questi sono dati di fatto. La questione fondamentale sta nella crisi della democrazia rappresentativa, del concetto di sovranità, della legittimità delle istituzioni. E il mio è un tentativo di passare dalla teoria alla pratica, dopo quasi trent’anni che si coltiva la speranza di un grande coinvolgimento dei cittadini grazie all’innovazione tecnologica.

Altrove ci si è provato, senza esiti miracolosi: il senador virtual cileno, il recall californiano, la costituzione islandese, il partito dei Pirati. Pure l’Italia è al top quale laboratorio di politica via internet

È il primo paese di rilievo in cui un partito rastrella il 25% dei voti grazie al web, e sono state avanzate varie proposte basate sul liquid feedback, forse la piattaforma più avanzata, usata da Ambrosoli, dalla Puppato, dai 5 Stelle del Lazio.

Le osservazioni mosse ai pentastellati si appuntano su Casaleggio. È in buona o cattiva fede?

Cririco la sua idea di iperdemocrazia, alla fin fine abbastanza banale. Sulla buona fede non sono riuscito a farmi un’idea: se ci crede sbaglia, se non ci crede, complimenti, è riuscito ad abbindolare un sacco di gente.

Colpiscono, a trent’anni di distanza, le intuizioni di Bobbio e Berlinguer.

Il primo definì puerile l’idea di una “futura computercrazia che consenta l’esercizio della democrazia diretta, cioè dia a ogni cittadino la possibilità di trasmettere il proprio voto a un cervello elettronico”. Il segretario del PCI affermò: “Non credo che si potrà mai capire cosa pensa davvero la gente se l’unica forma democratica diventa quella di spingere un bottone”. Però ci sono forme più articolate, che possono investire altre parti del processo democratico, oltre alla decisione.

Grande aporia: se nell’agorà c’erano centinaia di persone, nella rete ce ne sono milioni, almeno potenzialmente.

Si tenta di organizzare questo oceano in ondate leggibili, o navigabili. Ma in effetti la “partecipazione continua” teorizzata da Rodotà richiederebbe un’enorme quantità di tempo, difficile da trovare in giorni di precarizzazione e bassi compensi. Forse anche per questo oggi il cittadino individua un personaggio che gli piace per slogan e stile di leadership, e si affida a lui. Renzi docet. Insomma, dopo tutta questa retorica sulla democrazia digitale, si torna al punto che la cifra del presente è il personalismo».

Luciano Santin, Messaggero Veneto (per continuare a leggere, clicca QUI).

 

chiusiDa decenni gli esperti si dividono sulla possibilità della rete di permettere una maggiore partecipazione dei cittadini alla gestione della cosa pubblica, fino all’utopia dell’autogoverno del popolo, che secondo molti equivarrebbe a una versione “social media” della democrazia diretta ateniese. Ora che sono stati condotti in tutto il mondo esperimenti per implementare soluzioni tecnologiche nelle procedure democratiche, è tempo di chiedersi se i risultati prodotti siano all’altezza delle aspettative. Descrivendo un panorama contraddittorio ma ricco di potenzialità, Fabio Chiusi ci racconta le più interessanti esperienze di democrazia digitale; soprattutto quelle italiane, che fanno del nostro Paese uno dei laboratori più avanzati e un osservatorio privilegiato per valutarne l’efficacia.

Acquista il libro subito su IBS o Amazon.