Chi siamo – Perché l’uomo sulla Terra è così uguale, così diverso?

La Stampa

«Fino a pochi anni fa tutto ciò che sapevamo sull’origine dell’uomo stava in una valigia: un mucchietto di ossa fossili scompagnate, provenienti dall’Africa, dall’Asia, dall’Europa. Un mosaico incompleto di pezzi di cranio, bacino, femori, vertebre e altri resti attribuibili a epoche diverse ma sempre vaghe. Poi i fisici ci hanno insegnato a datare i fossili con il metodo del radiocarbonio. I biochimici hanno decifrato il metodo del Dna. I genetisti hanno incominciato a usare le mutazioni genetiche come un calendario e una mappa delle migrazioni. I glottologi hanno capito che i nomi e le lingue sono cromosomi culturali. E gli antropologi hanno fatto tesoro di tutti questi progressi inquadrandoli nella visione evoluzionistica fondata da Darwin. Così la storia dell’uomo si è disegnata davanti ai nostri occhi come un’immagine dapprima sfocata e poi, a poco a poco, sempre più nitida.

In cinquant’anni l’uomo ha scoperto la propria storia degli ultimi duecentomila. Oggi sappiamo abbastanza bene quando siamo comparsi sulla Terra, da dove veniamo, chi siamo. Chi siamo è anche il titolo dell’ultimo libro di Luca Cavalli Sforza, scritto in collaborazione con il figlio Francesco (Codice Edizioni), edizione aggiornata di un testo pubblicato per la prima volta nel 1993, più volte ristampato e tradotto in diverse lingue. In queste pagine troviamo risposta alle domande appena formulate: l’uomo moderno ha poco più di centomila anni, viene dall’Africa orientale, appartiene a un’unica specie. Ma Chi siamo è anche la sintesi divulgativa di una vita di ricerca, e dunque, indirettamente, l’autobiografia di uno scienziato.

Genovese, 92 anni, studente al liceo d’Azeglio di Torino (dove ebbe come compagno di classe Giovanni Agnelli), allievo dell’istologo Giuseppe Levi e del pioniere della genetica Adriano Buzzati-Traverso, Luca Cavalli Sforza si laureò in medicina ma fu medico solo per pochi mesi. Lo attirava la ricerca, e la coltivò in precoci esperienze all’estero con grandi scienziati come Ronald Fisher, fondatore a Cambridge della statistica genetica, e il microbiologo Joshua Lederberg, che ricevette il Nobel per la medicina nel 1958. Fu Lederberg a invitarlo all’Università di Stanford, in California, nel 1960, e a indirizzarlo verso la genetica delle popolazioni umane. A Stanford mise radici. Lì lo incontrai per la prima volta nel 1979. Era notte, l’Università deserta, l’unica stanza abitata la sua. Stava lavorando. Il sottotitolo di Chi siamo è La storia della diversità umana. Nel binomio diversità/uguaglianza sta la chiave di lettura più importante. Nel 2001 la decifrazione del genoma umano ci ha insegnato che siamo tutti uguali e tutti diversi. In media il Dna di due esseri umani differisce del 2 per mille. Possono esserci più affinità tra popoli vicini, ma può anche succedere che le differenze genetiche tra un bianco e un nero siano minori di quelle tra due bianchi. Non esistono razze umane, non esiste neppure la “razza umana”. Esiste la specie umana. Questo dato è tra i più socialmente e politicamente importanti della scienza moderna, ma è ancora lontano dall’essere metabolizzato persino in un Paese come l’Italia. La genetica ha dimostrato che non esistono le razzem ma purtroppo la cronaca quotidiana, inclusa quella politica e sportiva, dimostra che esiste il razzismo».

Piero Bianucci, La Stampa (per continuare a leggere, clicca QUI).

 

CavalliSforza_ChiSiamo_stampaNel 1993 Luca e Francesco Cavalli Sforza davano alle stampe Chi siamo. La storia della diversità umana, un grande classico della divulgazione scientifica che, dimostrando l’origine comune africana dell’umanità moderna e smontando pezzo per pezzo il concetto di razza, portava con sé un messaggio di unità e tolleranza. Oggi, vent’anni dopo, quel messaggio è più attuale che mai, e Chi siamo ritorna in una nuova veste, rinnovata nei contenuti e nell’iconografia. Le illustrazioni e le numerose mappe a colori, ma soprattutto i numerosi scatti di Giovanni Porzio -giornalista, reporter e fotografo giramondo- diventano così l’ideale contrappunto visivo al racconto delle nostre origini, ma anche un omaggio al viaggio umano e professionale di uno dei più grandi scienziati del Novecento.

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