«Ci sono anche libri che provano, attraverso le macerie del passato, a trovare uno scheletro su cui provare a ricostruire il futuro. È il caso di Il bagnino e il samurai (Codice Edizioni), libro a firma di Daniela Minerva e Silvio Monfardini (oncologo) che scandaglia alcuni momenti terribili della farmaceutica italiana, vale a dire quelli in cui il nostro paese ha scelto di non avere una farmaceutica di livello mondiale, perdendo il treno della grande industria con la svendita della Montedison e lo svuotamento della capacità strategica dell’oncologia italiana. Monfardini nell’ultimo capitolo del libro dice che “il processo di scoperta di nuove molecole e quello, successivo, di studiare come la loro struttura ne determina un’attività farmacologica necessaria per selezionare quelle potenzialmente attive, richiede oggi scelte strategiche importanti, grandi investimenti economici e un alto numero di ricercatori di medio e alto livello. Questo implica che il Paese e la politica considerino il farmaco come un fattore di sviluppo e lo assumano come un interesse strategico, cosa che, come abbiamo visto, non è mai stata fatta”. Ma se il farmaco può essere un fattore di sviluppo, allora abbiamo chiesto a Daniela Minerva di provare a rispondere alla domanda: il treno della grande farmaceutica l’abbiamo perso una volta per tutte, oppure qualcosa può ancora essere recuperato? Ecco la sua risposta:
Pensare a un futuro per la ricerca farmaceutica italiana significa prima di tutto andare a cercare cosa ne resta. Come abbiamo mostrato nel nostro libro, l’esperienza Montedison ha esaurito la chance di giocare sul terreno delle Big Pharma. Questo impatta notevolmente su ogni idea di futuro, anche se come sostengono molti, oggi le stesse Big Pharma fanno affidamento su piccole aziende o addirittura startup per rimpolpare le pipeline. Perché se è vero che è molto cambiato lo scenario rispetto agli anni Novanta e Duemila, quando si procedeva per aggregazioni e quando proprio su questa massa critica si contava per mettere in campo ricerca fruttuosa, è anche vero che l’infrastruttura Big Pharma è ancora oggi l’unico teatro possibile dove mettere in scena la ricerca collegata allo sviluppo e alla commercializzazione (…)».
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Perché l’Italia è esclusa dal grande business della farmaceutica mondiale. Chi ha spinto il Paese fuori dal gotha della ricerca scientifica e della modernità, e perché tutto questo ci impoverisce e fa male alla salute.
Montedison, Farmitalia, i centri di ricerca sul cancro. Interessi politici, mazzette e tanto spreco. Uno dei capitoli più controversi della recente storia italiana.
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