L’intelligenza artificiale è una minaccia? – Caleb Scharf su Le Scienze

«Da qualche parte nel lungo elenco di argomenti rilevanti per l’astrobiologia c’è la questione dell’intelligenza. È probabile che quella tecnologica, simile alla nostra, sia diffusa in tutto l’universo? Siamo un mero accidente evolutivo, e la nostra intelligenza ci sta relegando in un vicolo cieco del registro fossile? Oppure l’intelligenza è qualcosa su cui sta convergendo l’universo guidato dall’entropia e produttore di complessità?

Tutte buone domande. E una domanda altrettanto buona è se siamo in grado di replicare la nostra intelligenza, o qualcosa di simile, e se questa è effettivamente una buona idea.

Negli ultimi mesi questo tema ha fatto ancora una volta breccia sui mezzi di comunicazione di massa. Prima c’è stato Stephen Hawking, poi Elon Musk e più di recente Bill Gates. Tutte queste persone brillanti hanno suggerito che l’intelligenza artificiale (IA) sia qualcosa a cui guardare con attenzione, per evitare che si sviluppi fino a rappresentare una minaccia esistenziale.

Solo che è un po’ difficile trovare un qualsiasi dettaglio di che cosa esattamente sia percepito come la minaccia esistenziale citata prima. Hawking ha suggerito che potrebbe essere la capacità di un’intelligenza artificiale forte di “evolvere” molto più velocemente dei sistemi biologici, finendo per assorbire risorse senza preoccuparsi di quelli come noi. Penso che sia una buona ipotesi. La minaccia dell’intelligenza artificiale non è che sarà una megalomane sadica (a meno che, deliberatamente o incautamente, facciamo in modo che sia così), ma che seguirà un proprio imperativo evolutivo.

È allettante suggerire che una tutela sarebbe l’inserimento di empatia nell’intelligenza artificiale. Ma penso che questo fallirebbe per due motivi. Primo, la maggior parte degli esseri umani ha capacità empatiche, però continua a essere sgradevole, incivile e brutale verso i propri simili e praticamente ogni altro organismo vivente sul pianeta. Secondo, non mi è affatto evidente che l’intelligenza artificiale vera, forte, sia qualcosa che possiamo progettare “passo dopo passo”, forse dovremo permetterle di emergere per conto proprio.

Che cosa significa? Gli attuali sforzi in settori come l’apprendimento profondo computazionale coinvolgono algoritmi che costruiscono i propri paesaggi probabilistici setacciando grandi quantità di informazioni. Il software non è necessariamente programmato per “conoscere” le regole prima del tempo, ma per trovare le regole o predisposto per essere guidato da regole, per esempio nell’elaborazione del linguaggio naturale. È qualcosa di stupefacente, ma non è chiaro se si tratti di un percorso dell’intelligenza artificiale che ha equivalenti con il modo in cui pensano gli esseri umani o con un qualsiasi organismo senziente. L’argomento è stato oggetto di accesi dibattiti fra personaggi del calibro di Noam Chomsky (sul fronte degli scettici) e Peter Norvig (sul fronte degli entusiasti). Al fondo, si tratta di un confronto tra la scienza centrata su una semplicità di fondo e la scienza che dice la natura potrebbe non comportarsi affatto in quel modo.

Un percorso alternativo per l’intelligenza artificiale è quello che propongo qui (e non è originale). Forse possono essere create le condizioni generali da cui può emergere l’intelligenza. A prima vista può sembrare grottesco, come gettare un mucchio di pezzi di ricambio in una scatola e sperare che compaia una bicicletta nuova. Non è certamente un modo per trattare l’intelligenza artificiale in modo scientifico. Ma se l’intelligenza è una proprietà evolutivamente emergente del giusto tipo di sistemi molto, molto complessi, non potrebbe accadere? Forse».

Caleb Scharf, Le Scienze (per continuare a leggere su Le Scienze, clicca QUI).

 

scharfMisteriosi, enigmatici, spaventosi, distruttivi: i buchi neri sono i corpi celesti più estremi e affascinanti dell’universo, capaci di stravolgere le leggi della fisica e così potenti da trattenere anche la luce. Ancora oggi la loro natura particolare continua a stupire gli scienziati, ma recenti ricerche ne hanno rivelato un aspetto completamente nuovo: i buchi neri contribuirebbero alla creazione di nuove strutture cosmiche e sarebbero uno straordinario convertitore di energia che agisce su scala stellare. Non è a questo punto inutile chiedersi, suggerisce provocatoriamente Caleb Scharf, se esista un rapporto tra i buchi neri e il loro ruolo nella natura della vita come noi la conosciamo. D’altronde l’uomo non è forse “polvere di stelle”?

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