Pierfranco Pellizzetti - Conflitto

Il punto archimedico – Un estratto da “Conflitto” di Pierfranco Pellizzetti

«Ci sono date che diventano metafore di avvenimenti epocali: il 1789, il 1848, il 1968. Lo stesso può valere per il 2011.
Il 3 gennaio nell’ospedale di Tunisi moriva Mohamed Bouazizi, l’ambulante che si era dato fuoco per protesta contro le umiliazioni cui era sottoposto dal governo del suo paese. Poco dopo, il 25 gennaio, nella piazza Tahrir (Liberazione) del Cairo risuonava la parola d’ordine «Tunisia è la soluzione» (non casuale parafrasi dello slogan «Islam è la soluzione»). E l’incendio ha continuato a propagarsi.
L’anno fatale, dunque, ha coinciso in larga parte del mondo con l’ulteriore accelerazione delle insorgenze sociali. Dalla Madrid degli indignados, che contestavano
le politiche di austerità a senso unico messe in atto dagli Stati colpiti dalla crisi del debito, a New York, dove il movimento Occupy Wall Street ha promosso azioni simboliche ad altissima visibilità contro le malefatte dei cosiddetti masters of universe (i personaggi al vertice delle centrali finanziarie speculative), l’opposizione nei confronti degli effetti rovinosi prodotti dalla mercificazione di ogni ambito della vita umana e il conseguente rifiuto dell’avidità rapinosa fattasi sistema, insita nell’ideologia del “denaro che si riproduce a mezzo denaro”, si sono diffusi a macchia d’olio; con affollatissime adunate in 950 città di ben 80 paesi. Tendenza che ancora non accenna ad arrestarsi. Come ha scritto il “New York Times”, «è stato il ritorno sulla scena della seconda superpotenza mondiale»: la mobilitazione della società civile su scala planetaria.
Ciò nonostante, le logiche che egemonizzano il mondo dall’ultimo quarto del ventesimo secolo non ne sono state neppure scalfite; l’antagonismo insito in tali manifestazioni, presunte sovversive, è rimasto confinato nella dimensione sterile della mera testimonianza. Politicamente inerte. La constatazione di questa sostanziale insignificanza pone un problema che manda in tilt le rappresentazioni di scuola del rapporto tra movimenti e istituzioni; cioè l’idea che l’impatto dei primi sulle seconde determini necessariamente cambiamenti. Anche in questo caso, si tratta di un modello consacrato a regola in seguito alle storiche rotture avvenute almeno negli ultimi quattro secoli, in cui il termine rivoluzione assumeva il significato di mutamento radicale; che nel Novecento diventava metabolismo normale nell’ordine instaurato dal capitalismo nella fase industrialista: la dinamica, canalizzata in procedure istituzionalizzate, del conflitto tra capitale e lavoro.
Questa dinamica si articolava nei passaggi fisiologici della “sfida” e della “risposta”, in cui la spinta a oltrepassare i confini vigenti determinava una controspinta, tendente ad assorbirne la potenza raggiungendo nuovi equilibri; tradotta in concessioni di varia natura alle ragioni degli sfidanti: integrative, distributive, risarcitorie. Magari anche in qualche misura “gattopardesche”, secondo l’immortale sentenza del principe di Salina (che tutto cambi perché nulla cambi). A tale proposito, qualcuno ci ricorda che «il primo passo verso la costruzione del welfare state fu fatto nella Germania di Bismark per tagliare l’erba sotto i piedi al crescente movimento socialista».
In questo modo si sono prodotte significative variazioni negli assetti del potere in senso inclusivo e di allargamento della cittadinanza; una volta appurato che le ricette repressive, sperimentate nella prima metà del secolo scorso con i vari totalitarismi, erano risultate terribilmente costose, prima ancora che inefficienti.
L’apoteosi di tale processo si ebbe nel periodo che i francesi chiamano i gloriosi trenta (gli anni del secondo dopoguerra) e lo storico britannico da poco defunto Eric Hobsbawm definiva l’«età dell’oro», in cui si materializzò il patto keynesiano-fordista (il compromesso storico tra borghesie imprenditoriali e classi lavoratrici organizzate sindacalmente: l’accettazione di massa del capitalismo, a fronte della piena occupazione tendenziale) declinato nelle politiche welfariane dello stato sociale. Secondo non pochi commentatori, la più alta forma di convivenza mai sperimentata dall’umanità nel suo lungo cammino storico.
Si è trattato, dunque, del raggiungimento di un sempre maggiore livello di civismo come frutto diretto del conflitto sociale; in quanto esercizio effettivo, ma anche come conseguenza della volontà di prevenirlo. Conflitto che sfociava in quelle che erano conquiste democratiche conseguite sul campo, non certo graziose concessioni.
Si diceva… sfide e risposte che avevano come requisito irrinunciabile l’accreditato profilo di attore significativo proprio dello sfidante, riconosciuto tale in quanto capace di sprigionare una potenza di cui era più prudente tenere conto. Il cui riconoscimento era reso visibile già dall’allargamento costante della base avente diritto di prendere parte alla decisione pubblica, sancito dall’evoluzione dei sistemi elettorali verso il suffragio universale.
Ha scritto recentemente Alessandro Pizzorno: «Domandiamoci perché in un determinato momento storico è stato proposto di adottare il sistema elettorale (dopo una tradizione secolare in cui, pur se in unità politiche minori, il problema della scelta dei governanti era stato risolto con elaborate forme di sorteggio, o di rappresentanza corporativa). E soprattutto domandiamoci perché nei suoi inizi questo sistema sia stato proposto […] dai gruppi che, avendo già in mano il potere politico, potevano immaginare che con quel metodo rischiavano di perderlo […]. Il voto, dobbiamo concludere, non è stato pensato in quanto strumento per organizzare un sistema efficiente – e in ogni caso non ne ha avuto l’effetto – e tutt’al più è servito per risolvere situazioni di emergenza riguardanti minacce alla pace sociale».
Insomma, uno scambio a somma positiva, che nasce- va dall’equilibrio raggiunto nei rapporti di forza».

Pierfranco Pellizzetti, Conflitto. L’indignazione può davvero cambiare il mondo?

 

[Vi ricordiamo che oggi pomeriggio alle 18.00 Pierfranco Pellizzetti presenterà il libro a Torino, alla Feltrinelli Libri e Musica di piazza CLN].

 

 

Pierfranco Pellizzetti - Conflitto

La lotta di classe c’è stata, ma la classe operaia l’ha persa. L’Internazionale trionfa, ma è capitalista.

Marc Augè

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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