“Perenni stranieri nella metropoli senza tempo”
Tommaso Pincio racconta L’uomo di Dubai di J. O’Neill

Tommaso Pincio, romanziere e traduttore, nel novembre 2015 ha vinto  ha vinto il primo premio degli editori indipendenti SINBAD con il suo ultimo libro "Panorama"

Tommaso Pincio, romanziere e traduttore, nel novembre 2015 ha vinto ha vinto il primo premio degli editori indipendenti SINBAD con il suo ultimo libro “Panorama”

«Dubai è come grande aeroporto: un’immensa metropoli artificiale senza tempo. È il Nuovo Mondo, la città dei sogni dove i capitali del petrolio attirano imprenditori da tutto il mondo in cerca di fortuna». Sono gli enormi grattacieli simili a cattedrali nel deserto a fare da sfondo a “L’uomo di Dubai” (vai alla scheda del libro), l’ultimo libro di Joseph O’Neill, definito dal Washington Post «un piccolo capolavoro di intelligenza, commedia e maestria linguistica” e inserito dal New York Times nella lista dei migliori libri dell’anno. «Dubai è l’amplificazione dell’Occidente laddove l’Occidente non dovrebbe esistere. E il risultato è il racconto di un grande non-luogo, affascinante ma al tempo stesso mai pienamente comprensibile», racconta Tommaso Pincio, che per Codice Edizioni ne ha curato la traduzione italiana. «In un’epoca di grandi spostamenti, in cui le persone sono spesso costrette a cercare il proprio destino altrove e a reinventare il proprio spazio fisico e interiore, O’Neill è uno scrittore particolarmente attuale».
Di origine irlandese ma cresciuto tra Mozambico, Turchia, Iran e Olanda, spiega Pincio, «O’Neill è un autore interessante proprio per questa internazionalità del suo retroterra umano e culturale che porta nelle sue opere. Scrittore senza patria – o forse con troppe patrie – che ricerca tra le righe dei suoi romanzi. Non a caso sia in “La città invincibile” (ed. Rizzoli), sia in “L’uomo di Dubai”, la metropoli in cui si trasferisce il protagonista ha un ruolo di primo piano: se però New York è quella città dove tutti si sentono a casa, a Dubai è tutt’altro che così. L’integrazione degli espatriati non è mai totale: si è condannati a una condizione di diversità che spinge gli occidentali a creare una comunità dento la comunità. Dubai è una terra di mezzo, non tanto geografica quanto mentale. C’è un senso di transitorietà e solitudine che attraversa i luoghi e i personaggi di O’Neill: privilegiati e benestanti, non si spostano per sopravvivenza materiale ma per esigenze lavorative e sentimentali, hanno storie fallimentari alle spalle, cercano di costruirsi una nuova identità, ma rimangono sempre intrappolati in una dimensione di “perenni stranieri”. E alla fine la storia d’amore più importante è proprio quella, tormentata, che il nostro protagonista senza nome ha con la città, Dubai».oneill_ese_tr_def_dorso_15_coen
Dietro l’idea della traduzione bella e infedele, c’è la consapevolezza delle differenze tra le lingue: il lavoro del traduttore non è mai la semplice ricerca di un vocabolo corrispondente. «Quando si traduce ci si trova sempre a confrontarsi con nuovi spazi e linguaggi, allo stesso modo dello scrittore – ci continua Tommaso Pincio –. Quando scopri un nuovo autore, vivere nella mente di un altro essere umano è molto stimolante ma anche problematico perché la presenza di questo estraneo può essere invadente. E O’Neill non è un romanziere semplice: la sua voce forte e riconoscibile ricorda l’intensità di Philip Roth, molto diverso per temi e cultura, ma con lo stesso periodare non immediato ma estremamente godibile. Le pagine sono complesse, fatte di incisi, incisi di incisi e parentesi, cariche di tecnicismi di natura legale e giuridica, spesso in latino, che ritornano in continuazione, anche nelle situazioni di vita quotidiana o quando il protagonista ragiona sui sentimenti. Lo sforzo maggiore è quello di non rendere troppo tortuoso, tra congiunzioni e subordinate, o al contrario semplificare un testo che nella sua complessità mantiene una scorrevolezza quasi inaspettata».
Il risultato? «È un libro intelligente ed esilarante, sofisticato – continua Pincio –. Anche scorretto per certi versi: il protagonista non è sempre gradevole al lettore, talvolta senza apparenti qualità ma con una grande considerazione di sé. Uno strano ibrido tra furbizia e inettitudine, dallo sguardo spesso cinico con rigurgiti di onestà, rimorsi e sensi di colpa. Non è né buono, né cattivo, ma grigio come certi personaggi usciti dai film dei fratelli Coen. Un aspetto che ritroviamo soprattutto nelle parti in cui O’Neill racconta il suo rapporto con quel luogo-non luogo infinito che è internet: una pagina geniale del romanzo, perfetta fotografia del mondo in cui viviamo».

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