6 aprile 2009: quella terribile notte che devastò l’Aquila
Leggi un estratto del nuovo libro di Alessandro Amato

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Il terremoto è arrivato in piena notte, alle 3.32. Una scossa improvvisa, partita da una faglia nascosta a 5 km di profondità e a poco più di un chilometro dal centro dell’Aquila, che ha sprigionato la sua violenza contro migliaia di persone che ancora dormivano e radendo al suolo centinaia di case, infrastrutture, monumenti, edifici storici, ospedali, università. 309 morti, oltre 1.600 i feriti e più di 48mila sfollati che hanno dovuto abbandonare le case inagibili: un dramma di cui ancora oggi l’Abruzzo porta i segni. Alessandro Amato, geologo e sismologo, dirigente di ricerca dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), ricorda bene quei terribili giorni e ce li racconta così nel suo libro “Sotto i nostri piedi. Storie di terremoti, scienziati e ciarlatani” (VAI alla scheda del libro), di cui vi anticipiamo un estratto in occasione del settimo anniversario della tragedia.

 

 

 

56 -Amato_140_210_DEF“Pochi giorni dopo il terremoto del 6 aprile ero in una tendopoli a parlare con i cittadini aquilani di quanto successo. C’erano centinaia di persone, il clima era teso, erano passati pochi giorni dal disastro e tutti avevano perso qualcuno o qualcosa. Non sapevano cosa riservasse loro il futuro, cosa ne sarebbe stato della casa che avevano dovuto lasciare, né quando avrebbero potuto ricominciare a vivere una vita normale. Dopo tutte le mie spiegazioni tecniche, mi preparavo a rispondere alle domande degli aquilani sulle faglie, sui precedenti storici, perfino a quelle inevitabili e insidiose su quanto sarebbe durato lo sciame ma una bambina alzò la mano e venne verso di me con un grosso microfono in mano. Mi gelò con una domanda inattesa, la più sensata che si potesse fare in quel momento, sotto quel tendone blu: «Quando torniamo a casa?». Un pugno allo stomaco che di colpo fece riaffiorare in me quel senso di frustrazione che tutti i sismologi provano dopo una catastrofe. Perché noi sappiamo che i crolli, i morti, i feriti, si possono evitare o almeno ridurre a pochi casi sfortunati, basta far bene le case. In Giappone, un terremoto della magnitudo di quello aquilano del 6 aprile ha effetti molto limitati sulla popolazione e al telegiornale viene appena menzionato. All’Aquila invece, si era tramutato in una tragedia a causa della scarsa resistenza degli edifici, un problema che per decenni non era stato certo al centro dell’agenda politica”.

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